[amazon_link asins=’B079S5LPWK’ template=’ProductAd’ store=’ovethe-21′ marketplace=’IT’ link_id=’7593a2b2-2067-11e8-a2d2-a3e85c5fd73d’]
La notte degli Oscar è stata la cronaca di una serie di vittorie annunciate. Non ci sono state grandi sorprese esclusa la vittoria di Scappa – Get Out come miglior sceneggiatura originale. L’atmosfera era davvero politicamente corretta, ma così politicamente corretta da essere tediosa. Mi ha annoiata questa cerimonia. Il presentatore, Jimmy Kimmel, era talmente impegnato ad essere gentile con le signore da dimenticarsi completamente il suo ruolo nel contesto.
Il premio per il miglior attore protagonista a Gary Oldman era quasi doveroso, frutto maturo di un’interpretazione magistrale. Gary ci ha fatto perdutamente innamorare di un anziano e pingue politico, restituendoci una figura politica fiera e inossidabile, come ne vorremmo ancora, come non ne abbiamo oggi. I premi per la migliore attrice e il miglior attore non protagonista sono andati a Frances McDormand e Sam Rockwell per il loro ruolo in “ Tre manifesti a Ebbing – Missouri”. Sam se l’è sudato quell’Oscar, ha creato una figura così meschina e gretta da sembrare senza via di scampo, portandola poi, in una svolta improvvisa, verso la redenzione.
Frances ha regalato un personaggio che si può solo definire cazzuto, una donna così forte da camminare come John Wayne, che porta una bandana che omaggia “Il cacciatore” e indossa una tuta da meccanico che le toglie ogni stile ma le restituisce un carattere d’acciaio e una determinazione inossidabile. La migliore attrice non protagonista è Allison Janney per I.Tonya, che non ricorda proprio la nonna della serie televisiva Mum, ma è talmente cinica e scorretta da farsi odiare. Il filo nascosto di Paul Thomas Anderson e Dunkirk di Christopher Nolan rimangono un po’ a bocca asciutta. Il primo riceve l’oscar per i costumi, il secondo prende tre dei premi tecnici, miglior montaggio, miglio sonoro e miglior montaggio sonoro. L’oscar per i migliori effetti speciali e per la fotografia sono andati, giustamente, a Blade Runner 2049 che ha creato un Universo surreale, rispettoso del suo originale. James Ivory ha vinto il premio per la sceneggiatura non originale del film “Chiamami col tuo nome” dell’italiano Luca Guadagnino, al quale auguro la stessa sorte di Paolo Sorrentino. Essendo un nostro regista estremamente sotto stimato, spero vivamente che qualcuno si accorga del suo valore. Ancora non mi capacito di come non ci si sia resi conto della bellezza di un piccolo gioiellino come “Io sono l’amore”. Meritava di più anche The Post, con una coppia di mostri come Meryl Streep e Tom Hanks che provano a risvegliare le coscienze civiche sopite di tutti gli esseri umani, ma c’era talmente tanta qualità quest’anno che era quasi impossibile fare delle scelte. Quasi … ma poi? Poi c’è Guillermo del Toro che vince il premio per la miglior regia e vede il suo film “La forma dell’acqua” diventare il migliore dell’anno.
Guillermo sa bene come trasformare le storie in fiabe o le fiabe in storie, ce l’aveva già dimostrato con Il labirinto del fauno. La favola di oggi è pura poesia, una storia d’amore incantata, surreale eppure incredibilmente carnale. L’amore di Liza e della sua creatura anfibia non è un ideale incontro tra anime, ma una sensuale armonia di corpi e spirito. I sentimenti più puri e le passioni più travolgenti sembrano destinati ai diversi, agli umili. C’è molta voglia di riscatto, dalla donna di colore emarginata dalla società e dal marito, all’artista gay disadattato che non riesce più a lavorare, alla donna muta che con il suo silenzio sembra sapere parlare meglio di chiunque il linguaggio del cuore. È un film sul cinema e per il cinema, uno di quegli atti d’amore che fanno tanto bene al cuore. Un anno davvero buono, molto più per la qualità dei prodotti che per quella della manifestazione che rende loro omaggio. Ma del resto è il cinema che conta e quest’anno possiamo essere soddisfatti.