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Agli arbori dell’Impero Galattico accadono cose. Un vortice di azioni concatenate che comportano conseguenze e di certo non si tratta di semplici salti temporali nell’iperspazio. In “ Solo: A Star Wars Story ” si avverte il marchio o meglio il piglio registico tipicamente Howardiano.
Si tratta della seconda pellicola, dopo “Rogue One: A Star Wars Story”, della serie “Star Wars Anthology”, approdata nelle sale italiane il 23 maggio, con due giorni d’anticipo rispetto a quelle statunitensi. Proiettato fuori concorso al Festival di Cannes il 15 maggio 2018, il lungometraggio diretto da Ron Howard consta di vicende ruotanti intorno al personaggio di Han Solo, dai diciotto fino ai ventiquattro anni, ambientato esattamente undici anni prima gli accadimenti di Una nuova speranza e successivamente Star Wars: Episodio III-La vendetta dei Sith.
Alden Ehrenreich incarna un Han Solo di certo non ingenuo, ma giustamente acerbo e non ai massimi picchi di spavalderia perdonabile, propri di un personaggio memorabile cucito addosso a Ford e per questo ancora più difficile da inscenare. Tra le tante informazioni che veniamo a scoprire sul personaggio c’è un riferimento alle sue origini, per riuscire a fuggire dal pianeta Corellia, Han si offre volontario ed entra a far parte dell’Impero venendo reclutato nell’Accademia di volo per diventare un pilota, ma data l’assenza di cari o di un cognome il soldato imperiale affibbia al protagonista il cognome “Solo”. D’accordo la faccenda in questione non è delle più originali.
Con il doveroso rispetto nei confronti dell’ambigua Qi’ra, interpretata dalla “Madre dei Draghi” Daenerys Targaryen del Trono di Spade, Emilia Clarke, più ci si imbatte nel suo personaggio più un’egoistica consapevolezza malinconica affiora: né la “Regina di Meereen” Daenerys, né altre potranno mai competere o possedere un millimetro dell’aura dell’unico vero amore di Solo: la Principessa Leia (Carrie Fisher).
Woody Harrelson, nominato come miglior attore non protagonista agli Oscar 2018 per la splendida prova attoriale conseguita in Tre manifesti a Ebbing, Missouri, conferisce maggior rilievo alla narrazione e a volte sembra rubare involontariamente la scena. Veste i panni di Tobias Beckett, ladro al soldo del gruppo “Alba Cremisi”, che diventerà una sorta di mentore per Han.
Nulla togliere alla missione inerente la rapina (a mano armata) di un grosso carico di coassio grezzo (pregiato materiale esplosivo) nelle miniere di Kessel o al supporto del contrabbandiere in pensione Lando Calrissian (Donald Glover), il quale mette a disposizione l’allora suo Millenium Falcon, ma nell’avvicendarsi degli accadimenti un momento rimane impresso e placa sentimenti contrastanti: il primo scontro/incontro tra Chewbecca (Joonas Suotamo) e Han. Una corrispondenza d’amichevoli sensi.
Pur auspicando, in generale, nuove sperimentazioni cinematografiche, che non “spremano” franchising collaudati, attraverso spin-off, rifacimenti e sequel, credo che “Solo: A Star Wars Story” abbia il pregio di non offendere e anzi rispettare le atmosfere archetipiche della saga fantascientifica ideata da George Lucas, amico di Howard, il quale ha afferrato le redini della regia dopo il licenziamento a metà produzione di Chris Miller e Phil Lord. Pur non inneggiando al capolavoro, mi dissocio dal definire Blockbuster, in senso dispregiativo un film che, per quanto mi riguarda, non annoia mediante una dinamica concatenazione di avventure costellate da alleanze o pseudo tali. Da avversari che divengono amici. O quasi.