La grande avventura del piccolo principe Valiant di Isao Takahata – Recensione

Disclaimer: Tutte le immagini appartengono alla Toei Animation.
A cinquant’anni dalla sua uscita, il lungometraggio giapponese “La grande avventura del piccolo principe Valiant” non sembra invecchiare. Catalogabile come modello rivoluzionario dell’animazione nipponica, la pellicola trova il suo maggior punto di forza nella caratterizzazione psicologica dei personaggi sorretta da ineffabili inquadrature. Il film trae il suo soggetto da una piéce teatrale ispirata alla tradizione folkloristica nipponica avente come protagonista un’antica popolazione tribale, che vive in un’isola al nord del Giappone: gli Ainu.


L’esordio cinematografico di Isao Takahata, il primo dei tanti film degni di nota che costelleranno la carriera del cineasta edochiano, profuma di quell’atmosfera rivendicativa tipica anni ’60; periodo in cui registi e animatori si congiungono ai sindacati per reclamare i loro diritti, soprattutto si rivendica una più ampia libertà artistica, che la casa di produzione Toei Doga (oggi Toei Animation) non vuole accordare per scopi commerciali. La svolta avviene nel ’68 quando, per alleviare le tensioni interne, l’azienda affida al leader delle proteste sindacali Yasuo Otsuka la produzione del film, il quale seleziona collaboratori, nonché compagni di lotta, destinati a segnare la storia dell’animazione mondiale: Takahata alla regia; YasuJi Mori e il suo allievo Hayao Miyazaki (per quanto concerne l’ambito dell’animazione e del layout), col quale stipula un sodalizio fruttuoso che durerà sino alla scomparsa di Takahata (5 aprile 2018). Il film esce nelle sale nel 1968 e l’anno seguente in Italia ove è noto con svariati titoli: oltre a quello già citato, è conosciuto come Il segreto della spada del sole e, poi, La grande avventura di Hols.

Le scene iniziali del film vedono il valoroso Hols, in lotta contro un branco di lupi argentati. Il contrasto si conclude con l’intervento risolutivo del gigante di pietra Mug. Il protagonista estrae dalla spalla dell’uomo delle rocce la spada del sole, ma “senza presunzione” dovrà “ridargli la tempera col fuoco e con l’acqua perché riacquisti la sua durezza” e poi dovrà imparare ad usarla e maneggiarla come si deve: solo allora potrà definirsi “il principe del sole”. Tornato a casa il giovane trova il padre morente, il quale gli svela un’importante verità: anni addietro vivevano in un paesino del nord annientato da un demone, che costrinse gli abitanti ad eliminarsi a vicenda. Non ci si può distrarre un attimo, d’altronde gli accadimenti sono ben scanditi in questo racconto d’avventura atto, con le sue peripezie, a non far scemare l’interesse dello spettatore per circa ottanta minuti.

Hols
si dirige verso nord; l’obiettivo è quello di sconfiggere il Signore dei Ghiacci, Grunwald, egregiamente caratterizzato anche a livello grafico. Si tratta di un demone che sopprime la libertà della popolazione e obbliga i cittadini a contrastarsi; è possibile, ivi, cogliere il riferimento alle lotte sindacali del periodo. Si rivela necessaria, quindi, la cooperazione di ogni singolo individuo al fine di sconfiggere il nemico. Il personaggio che incarna al meglio la lotta tra bene e male è, senza dubbio, la bella Hilda, dal canto ammaliatore. “Amica” degli abitanti del villaggio, ma al contempo sorella del demone e seminatrice di zizzania, la ragazzina restituisce al meglio un dissidio interiore dai risvolti emotivi non indifferenti. Nessun barlume di banalità contrassegna una narrazione fantastica per nulla acerba, destinata anche ad un pubblico adulto. Un lodevole intento innovativo, questo, non disatteso.

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