Disclaimer: tutte le foto dell’episodio sono di proprietà della BBC.
Nel bel mezzo dell’undicesima stagione di Doctor Who ci trovammo nell’episodio più sci-fi di tutti.
Che viaggiare con il Tardis non sia propriamente una gita di solo piacere ormai i nostri companion l’hanno capito benissimo, ma trovarsi sotto i piedi una mina sonica in un pianeta-discarica è qualcosa che non si sarebbero mai aspettati, e nemmeno il Doctor a dirla tutta. Inizia così The Tsuranga Conundrum, un episodio che si può definire abbastanza semplice e lineare, ma che contiene al suo interno delle vere chicche sia a livello di trama che di approfondimento dei personaggi.
Il Doctor che, una volta ripresosi – anche se non del tutto – cerca a tutti i costi una via d’uscita per andarsene dall’unità medica spaziale, anche ipotizzando di intervenire in prima persona sui comandi della nave. Assistiamo, ed è una delle poche volte, ad un diverbio in cui è il nostro gallifreyano ad essere in torto: il suo intervento per invertire la rotta dell’astronave rischia di causare la morte di tutti gli altri presenti a bordo. Un evento raro, quello in cui il Doctor deve dare ragione ad altri, un ridimensionamento non da poco che però non sminuisce il nostro alieno preferito, perché anzi lo mette nelle condizioni di focalizzarsi sui problemi degli altri.
(Cyberman, Angeli Piangenti, Odd, il Silenzio… alcuni tra i nemici più acerrimi del Doctor, in questa veloce carrellata prima della presentazione di Pting)
Pting: ammettiamolo, abbiamo tutti pensato a Stitch quando il mostriciattolo mangiatutto è apparso sullo schermo. Stessa espressività, stesse movenze, stessa aggressività. Un alieno quasi da fanfiction, sembra un occhiolino strizzato all’indirizzo dei più piccoli, se non fosse che il piccolo e vorace intruso ha deliberatamente ucciso il medico Astos e, man mano che procede l’episodio, rischia di fare fuori anche tutto il resto dei personaggi. Per non parlare del momento in cui si mette in bocca il cacciavite sonico del Dottore, un gesto così coraggioso che nemmeno un Dalek avrebbe mai potuto emulare.
Mostro cattivo e da distruggere a tutti i costi? Macché, un semplice – seppur pericoloso – alieno con una fame insaziabile, che si nutre di energia. Un’altra vita che il Dottore non vuole condannare a morte nonostante la sua alta minacciosità. Era accaduto con lo Stenza, nella prima puntata, era il desiderio con il ragno gigante nella puntata precedente: allontanare il pericolo per salvare altri vite, senza compromettere quella del “nemico” diretto. Siamo molto distanti dalla “bad-assaggine” di Eleven, che tra un gesticolare e l’altro ha condannato a morte parecchie minacce, che sia anche questo il modo di essere “kind”, gentile, auspicato da Twelve nel suo discorso di commiato? Per me, sembra proprio che si possa rispondere affermativamente.
Ryan: aggiungiamo un altro tassello al suo approfondimento e questa volta è un punto cruciale. Movente è l’aiuto a Yoss, il Gifftano prossimo a partorire e sì, questa volta la citazione di Junior, con Arnold Schwarzenegger, è segnalata a caratteri cubitali. Le scene con Yoss sono al limite della comicità paradossale, un controbilanciamento perfetto per un background di Ryan che invece è triste all’ennesima potenza. La paternità dell’alieno spinge il ragazzo a riflettere su suo padre e sull’abbandono che ha dovuto subire dopo la morte improvvisa della madre. E’ l’elogio dell’imperfezione genitoriale, qualcosa che Chibnall non spinge a condannare a prescindere perché prima ci porta ad empatizzare con chi non sente di avere le capacità per crescere un figlio.
Vedendo i dubbi e le paure di Yoss, Ryan comprende meglio quel padre che lo ha abbandonato quando più aveva bisogno di essere amato; forse è un primo passo perché impari a perdonarlo nonostante i suoi difetti. E forse è una strizzata d’occhi anche a noi spettatori, affinché possiamo imparare che “esserci” per coloro che amiamo è più importante che “essere perfetti”, perché già la nostra presenza è qualcosa di prezioso che può aiutare chi abbiamo vicino.
Però, Yoss, la prossima volta studia meglio la storia terrestre, perché un neonato che si chiama Avocado Pera proprio non si può sentire.
PS: una personale tirata d’orecchi a tutti quegli spettatori che ancora stanno pestando i piedi. Fino all’altro ieri Chibnall era il loro Dio in terra, che avrebbe dimostrato a tutti quanto Moffat era un pessimo showrunner. Oggi il buon Chris è uno scribacchino pescato a caso dalla BBC, che non sa più scrivere e che anzi avrebbe bisogno del consiglio dei fan per produrre puntate decenti.
Vi prego, vi scongiuro: se proprio non volete levarvi dalle scatole – ma come, non ci avete rotto per un anno intero dicendo che non avreste visto nemmeno mezza puntata con un Dottore donna? – tornate a fare gli spettatori e basta. Spettatori, ovvero fruitori di una storia scritta da altri. Lo show non è vostro, non sono vostre le decisioni sul background dei personaggi, sul loro modo di recitare. A parte la maleducazione estrema che state dimostrando – sputando sul lavoro di altri in nome di una supponenza paradossale – vi siete completamente dimenticati che non siete voi ad avere voce in capitolo. Ecco il danno enorme provocato dai social: tutti hanno imparato a dire la loro sacrosanta opinione, troppi hanno sfondato il confine che c’è tra chi fruisce di un’opera e i suoi autori che la compongono.
Vi prego. Tornate bambini. Tornate ad essere disposti a lasciarvi meravigliare senza pregiudizi, senza filmini mentali precostituiti, ma solo con tanta voglia di viaggiare, come si addice a veri companion del Doctor.
Commenti aggiuntivi a cura di Simona Ingrassia:
Se c’è una cosa che non si può dire contro Chibnall è che non abbia il coraggio di rompere con la tradizione e con gli stereotipi. Forse se dobbiamo trovare un sottotitolo a questo episodio è la forza e la debolezza delle relazioni.
Perché alla fine il punto centrale dell’episodio è proprio questo.
Come ha detto la mia collega Chiara, Ryan viene portato a riflettere sull’operato del padre da quell’uomo che sta partorendo. Ho trovato davvero molto toccante il fatto che il nuovo showrunner abbia messo nelle mani di un uomo le preoccupazioni tipiche di una madre di fronte al proprio nascituro. Non sono sicura sul fatto che il padre di Ryan meriti il perdono da parte sua ma c’è una cosa che viene rimarcata poco del sentimento del perdono. Oltre a essere qualcosa di non facile da dare è altresì molto liberatorio. E Ryan ne ha bisogno più per sé stesso, per darsi finalmente la capacità di affezionarsi alle persone che vogliono essere presenti nella sua vita, come Yaz e come Graham.
Una delle cose che ho amato di più è rimarcare l’importanza dell’immaginazione. In un mondo come il nostro che cerca di distruggere la fantasia, l’immaginazione, il potere di sognare avere una figura centrale che non fa altro che affermarlo con le parole e con i fatti, è senza prezzo.
Ho trovato anche particolarmente intenso il rapporto tra Eve e Durkas Cicero, fratello e sorella. C’è tutta una scrittura molto raffinata sul come crescere all’ombra di un personaggio molto forte, un mito vivente, tanto da essere ammirato persino dallo stesso Doctor per il fatto di essere finita sul fantomatico “Book of Celebrants” una sorta di elenco di persone importanti per la storia dell’umanità. Se ve lo state chiedendo, per caso: sì. Il Dottore ha la sua voce nel Book of Celebrants. O meglio, come lei stessa fa notare, quasi gongolando – ma quanto ricorda Eleven qui? – ha un intero libro dedicato.
Si diceva prima dello scardinamento degli stereotipi: Eve ha una malattia mortale, che nella serie viene definita “pilot’s heart” viene spiegata brevemente e per essere tenuta a bada necessita di bloccanti di adrenalina. E qui c’è tutta la sofferenza di una donna che ha sempre vissuto sotto la reputazione di forza e che non si può permettere di essere debole, mentendo anche allo stesso fratello.
Questi però mostra di esserle seriamente affezionato e di arrabbiarsi solo perché gli sta mentendo. All’ultimo Eve decide di sacrificarsi per salvare gli altri e quando, nel momento più importante, il suo fisico cede totalmente Durkas, seppur provato dal dolore, prende il suo posto.
Ho trovato poi particolarmente commovente e splendida la preghiera finale che fa leva sulla speranza. Nella mitologia la speranza era l’ultima cosa rimasta dopo l’apertura del vaso di Pandora e il conseguente spandersi dei mali nel mondo. Nella saga di Star Wars viene detto a chiare lettere che “la ribellione si fonda sulla speranza”.
E nello splendido film “Le ali della libertà” viene detto: “C’è qualcosa dentro di te che nessuno ti può toccare né togliere, se tu non vuoi, si chiama speranza!”
Forse è proprio questo su cui tutti noi dobbiamo sempre contare, nei momenti bui un po’ come quelli che stiamo vivendo oggi.
May the saints of all the stars and constellations
Bring you hope
As they guide you
Out of the dark and into the light
On this voyage and the next.
And all the journeys still to come.
For now and evermore.