Alla Corte di Ludovico il Moro
Nuovo appuntamento con la serie di conferenze sul Rinascimento Italiano, organizzato dall’associazione culturale buraghese Zucche in Piazza, sempre tenuto dalla simpatica relatrice Simonetta Bartolena, che in questo ultimo appuntamento, tenutosi lo scorso 21 Aprile, ci ha parlato della corte di Ludovico il Moro.
Si inizia dal concetto di città ideale, un concetto molto importante nel rinascimento, anche perché si basava su due grandi fattori: la matematica e la vivibilità.
I Signori di Milano, gli Sforza, fecero progettare questa città ideale, denominata Sforzinda, da Antonio di Pietro Averlino, meglio noto come Filarete e purtroppo di tale città ci rimane davvero molto poco a causa dei bombardamenti dell’ultima guerra mondiale.
Proprio come era successo in Veneto, anche in Lombardia il gusto era ancora molto legato al gotico e al medievale e dunque l’architettura rinascimentale era molto lontano dalla perfezione matematica di altre regioni.
Filarete nacque a Firenze, come altri grandi della sua epoca e fu, oltre che architetto, anche teorico e scultore. Il soprannome che si diede nacque dal fatto significa “Colui che ama la virtù”.
Oltre all’architetto fiorentino, in Lombardia vi era un grande artista ormai poco noto come Vincenzo Foppa, che aveva conosciuto e studiato a lungo la cultura veneta e il mondo archeologico, oltre che i fiamminghi.
Foppa, che era nato a Bagnolo Mella, attualmente situato in provincia di Brescia, fu uno dei principali animatori del Rinascimento lombardo prima dell’arrivo di Leonardo a Milano.
I suoi studi emergono molto nella Crocefissione da lui dipinta, dove mescolò svariati stili, e vi aggiunse molto umanesimo, in particolare nel ladrone che non si pente, che viene tormentato da un diavoletto e si contorce per questo.
E lo si vede anche nella sua Madonna del Libro, dove è presento l’oro medievale, ma le due figure, come avviene in altri quadri umanistici dell’epoca, sembrano rivolgersi allo spettatore.
Molto intrigante anche il suo San Sebastiano, in cui pare sbagliata la prospettiva, tuttavia in parte può essere che tale affresco, in origine, fosse stato messo in alto e quindi si voleva che fosse visto nella maniera giusta dallo spettatore che avrebbe guardato il quadro da lontano, in parte Foppa era un ribelle contro la matematica e la perfezione del centro Italia.
Dobbiamo però ricordare che il suo capolavoro fu la Cappella Portinari, dove viene raccontata la vita di San Pietro Martire e in cui ci fa capire come sapesse usare davvero bene la prospettiva.
La Cappella, si trova nella Basilica di Sant’Eustorgio a Milano, e deve il suo nome a Pigello Portinari, direttore della filiale milanese del Banco Mediceo, come sepoltura privata e reliquario di San Pietro Martire.
Foppa si occupò di fregi e affreschi della Cappella, dove con la sua originale prospettiva, non rigida, grazie alla luce, rende reali le figure da lui disegnate.
L’artista bresciano è stato dimenticato in primis perché contemporaneo di Leonardo, di cui non volle mai seguire la scuola, avendo uno spirito ribelle e autonomo. L’unica sua concessione al genio leonardesco è l’angelo della sua Annunciazione, chiaramente ispirato al maestro fiorentino.
Un altro grande di quel periodo fu Ambrogio da Fossano detto il Bergognone, che studiò molto il Foppa, ma fu influenzato parecchio anche da Leonardo e Bramante e non poteva essere altrimenti dato il periodo, oltre che dalla pittura fiamminga, che conobbe attraverso la Liguria.
Pur amando e conoscendo bene la prospettiva, Bergognone era ancora legato al Medioevo e lo si vede nella Chiesa di Santa Maria presso San Satiro, che, come tutte le chiese di Milano, tranne il Duomo, aveva mattoni rosso cotto, dove l’artista lavorò sotto la direzione di Bramante.
A proposito del Bramante, il cui vero nome era Donato “Donnino” di Angelo di Pascuccio ed era di Fermignano, provincia di Pesaro, egli si occupò anche della Chiesa di Santa Maria delle Grazie, in particolare della Tribuna, di cui ideò il progetto e poi lo lasciò nelle mani di Giovanni Antonio Amedeo, un suo allievo presumibilmente.
La Chiesa di Santa Maria delle Grazie di Milano, che fu il secondo sito italiano ad essere nominato patrimonio dell’umanità dall’Unesco, è famosa soprattutto per il Cenacolo di Leonardo, che si trova nel refettorio del convento della Chiesa.
Prima di parlare di uno dei capolavori di Leonardo, è importante ricordare che di fronte vi è la Crocefissione di Donato Montorfano, che, all’opposto del Cenacolo, è colma di persone e avvenimenti tanto che quasi ci si scorda che è una crocefissione.
Nell’affresco vi erano anche Ludovico il Moro e Beatrice d’Este, all’epoca signori di Milano, ma ora non si vedono più forse a causa si una pittura sperimentale, simile a quella errata di Leonardo per il Cenacolo.
Ludovico chiese al grande artista fiorentino di cancellare l’affresco di Montorfano, ma egli, pare, si rifiutò.
Su Leonardo è stato detto di tutto e di più, non era solo un pittore, era uno scienziato, una mente eccelsa e con il suo arrivo sconvolse Milano, mettendo più o meno in ombra tutti gli artisti presenti in città, tranne Bramante, che in quello stesso periodo stava già facendo cose strepitose e innovative, tra le quali il rifacimento della chiesa di San Satiro.
Ludovico il Moro, infatti, gli aveva chiesto di rifare la Chiesa di San Satiro, per proteggere l’immagine della Madonna che attirava molte folle e rischiava per questo di finire rovinata.
Facendo i calcoli Bramante si accorse che la nuova chiesa non ci sta, quindi finge un apside, con la prospettiva, facendolo apparire di 5 metri mentre invece è di 70 centimetri.
Bramante era una sorta di Brunelleschi fantasioso, avendo molta immaginazione.
Il suo arrivo e quello di Leonardo segnano uno stacco culturale: si inaugurò una nuova era.
Nell’Annunciazione del grande genio fiorentino vi sono diversi errori prospettici, e devono essere per forza voluti visto che è impossibile credere che Leonardo non conoscesse la prospettiva.
Vi è anche un altro particolare interessante ovvero l’angelo ha le ali di uccello e non da angelo, sono infatti presenti delle piume molto particolareggiate, che denotano lo studio approfondito fatto su questi animali.
Sappiamo che il Da Vinci fu allievo di Andrea Verrocchio, grande scultore della sua epoca, che vedendosi sorpassato dalla bravura dell’allievo, non dipinse mai più.
Leonardo aveva una visione diversa dai suoi contemporanei, più arguta, più innovativa.
Vediamo questo anche nelle enormi differenze con il suo conterraneo Botticelli, che era anch’egli un grande artista, non possiamo certo definirlo niente di meno, basti pensare alla sua Primavera, simbolo stesso del Rinascimento o alla Nascita di Venere, ma Leonardo aveva qualcosa in più anche in termini umanistici, dove peraltro Botticelli sapeva esprimersi molto bene.
Pare incredibili a dirsi ma Leonardo non era amato nella sua città perché non era molto accondiscendente con la famiglia Medici, a differenza appunto di Botticelli che arrivò a dedicare la sua Primavera ai Signori di Firenze, così il genio fiorentino decise di scrivere a Ludovico Sforza una lettera dove spiegava tutto quello che sapeva fare, tra cui, in ultimo, dipingere e scolpire.
Del resto Leonardo non era solo un pittore, era uno scienziato e divenne il factotum degli Sforza, per cui organizzò splendide feste, grazie al suo strabiliante ingegno.
Sono diversi i suoi dipinti rimasti nell’immaginario collettivo, prima tra tutti la Gioconda, meravigliosa e misteriosa, ma debbo confessare di avere un certo debole per La Dama con L’ermellino, così come la relatrice, per come è vivo e umano, anche nei suoi difetti o presunti tali.
Come è ben noto la donna dipinta era Cecilia Gallerani, la giovanissima amante di Ludovico e insieme a lei vi è appunto l’ermellino per svariate ragioni.
Primo il cognome Gallerani. E Galon in greco significa proprio ermellino ed è assai probabile che la ragazza possedesse veramente tale animaletto.
Secondo Ludovico era stato da poco nominato Cavaliere dell’ordine dell’Ermellino.
Infine l’ermellino è simbolo di purezza.
Prima parlavo di presunti difetti: forse quasi nessuno si è accorto che la mano di Cecilia è davvero orribile e considerando la precisione con cui il maestro fiorentino dipingeva ci sono ampie possibilità che la mano fosse stata dipinta così per seguire l’esempio di quella reale della ragazza. Vivendo al castello è assai probabile che Cecilia fosse malata di artrosi, nonostante la giovane età. E Leonardo non idealizzava nulla.
Il genio fiorentino è forse l’artista più chiacchierato della storia dell’arte e le teorie su di lui sono numerose e fantasiose.
Un altro quadro famoso di Leonardo fu la Vergine delle Rocce, di cui esistono due versioni.
La prima, commissionata dai frati di Brera, era talmente rivoluzionario da venire rifiutato proprio dai suddetti frati e finì per andare in regalo ad uno dei protettori di Leonardo, Re Francesco I di Francia, che poi si prese anche la Gioconda alla morte del genio.
L’innovazione di questa quadro era il grande studio sulle rocce dell’Adda, rocce che possiamo vedere sullo sfondo, anche se nella prima versione era soprattutto il ritratto molto umano della protagonista a far storcere il naso ai frati.
La seconda versione, più monotona, finì appunto al convento, ma fu regalata da Maria Teresa d’Austria alla National Gallery di Londra, perché, parole sue, vi era troppo rinascimento a Brera e poco di altre opere.
Invito i miei pochi lettori a non andare a oltraggiare la tomba dell’imperatrice. Non sarebbe il caso.
Ennesimo capolavoro del maestro fiorentino è senza dubbio il Cenacolo che venne dipinto con una tecnica errata, ovvero a muro secco e in più secondo gli umori del suo creatore. Pensate che ci mise 5 anni a dipingerlo: lo stesso tempo che Michelangelo impiegò a dipingere la Cappella Sistina.
Nonostante questo l’opera di Leonardo è sopravvissuta vissuta fino a noi, sopportando i bombardamenti dell’ultima guerra mondiale e i troppo restauri sbagliati che sono stati fatti sopra nel corso dei secoli, arrivando a dipingerci sopra più e più volte.
Soltanto di recente si è fatto un restauro serio, levando tutto quello che era stato dipinto sopra e recuperando così l’originale.
Il luogo in cui è stato dipinto l’affresco, ovvero il refettorio del convento, doveva poi diventare la tomba dei signori di Milano, Ludovico e Isabella d’Este, ma alterne vicende fecero saltare il progetto.
Nell’affresco, come sempre accadeva nelle opere di Leonardo, vi sono presenti i suoi studi da scienziato, in questo caso quelli sul suono.
E’ inoltre affascinante costatare che Giuda è assai riconoscibile per il fatto che è l’unico che ha lasciato cadere il sale, a differenza degli altri e si diceva che gli apostoli spargevano “il sale di Gesù”, inoltre aveva in mano i denari e il volto demoniaco.
Dobbiamo far notare come sia parecchio presente l’umanità anche nei volti degli altri personaggi, attraverso la loro gestualità, che è molto studiata, compresa quella di Gesù, il quale non ha un’aureola sulla testa ma viene illuminato da una luce alle sue spalle, segno del soprannaturale che è in lui.
Nello stesso periodo in cui dipingeva il Cenacolo, Leonardo stava studiando l’Adda e le sue rocce, oltre che le strutture della zona, ma anche l’anatomia umana di cui aveva compreso quasi tutto, tranne il cuore, dato che non lo considerava un organo.
Dopo un breve rientro nella città natia, il maestro fiorentino prese definitivamente la via della Francia, ospite di Francesco, nel castello di Amboise, dove terminò il suo quadro più famoso, la Gioconda.
Tale ritratto è il forse il dipinto più celebre e misterioso del mondo ed è proprio questa ambiguità a renderlo così importante.
Fu copiato e ricopiato, senza mai riuscire a catturare l’incredibile sorriso della donna ivi ritratta.
Il paesaggio alle spalle di lei è la summa di svariati luoghi, gli stessi visitati dal genio fiorentino, tra cui un ponte non lontano da Lecco, sopra l’Adda.
Egli si sentì più lombardo che fiorentino.
Vi sono diversi artisti che debbono molto a Leonardo e al suo stile così particolare, tra cui Arcimboldo e Caravaggio, anche se avevano uno stile molto differente.
L’arrivo in Francia è l’ultima tappa della vita del maestro da Vinci, che lascerà il suo capolavoro al sovrano francese e non tornerà più in Italia, anche perché, nel frattempo, il suo ex mecenate, Ludovico il Moro, aveva perso il potere, dopo diverse guerre, che misero fine per sempre al potere degli Sforza su Milano, che dovrà attendere secoli per tornare allo splendore di quel periodo così glorioso.
Questo venerdì si tornerà a parlare di Ludovico il Moro nell’ultimo ciclo di conferenze intitolato “Dai Visconti agli Sforza” redatto da Fedra Pavesi.
Simonetta Bartolena, invece, ci aspetta alla Biblioteca di Vimercate il prossimo 17 Maggio dove ci parlerà della Scapigliatura.