Vengono definiti “vizi capitali” quei comportamenti che, incidendo sulla morale dell’uomo, provocherebbero la distruzione della sua anima. I semi maligni del peccato vengono piantati in cuori all’apparenza incorruttibili, scudati da virtù, protetti da un’aura di intelligenza, fierezza e bontà. Essi corrompono l’ingenuità, traviano l’innocenza e sporcano la purezza, illibata fino a poco prima. Superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola, ira e accidia sembrano aver corrotto il mondo con un canto da sirena, risucchiando anche il più integerrimo di noi, schiavo e dipendente dal loro fascino. Perché siamo stati corrotti? Come siamo arrivati a tutto questo?
Secondo l’ormai amico-per-la-pelle Google, ‘Accidia’ sta a significare: “Avversione all’operare, associata all’idea di tedio oltre che a quella di neghittosità”. In parole povere, ‘amare il dolce far niente’. Spesso, la pigrizia non viene considerata peccato o almeno, non capitale, perché siamo tutti un po’ indolenti a volte: giustificare la massa è più facile che giustificare noi stessi, la nostra singolarità e quindi ci crogioliamo nelle coperte caprettate con Netflix alla mano. Ma siamo sicuri che l’unico significato del termine “Accidia” sia quello suggerito dal fido Google? Meglio ancora: siamo certi che l’unica pigrizia si manifesti nei pomeriggi di svacco davanti alla tv? A nostro avviso ci sono milioni di altri modi per essere indolenti, ma la maggior parte di questi vengono tollerati dalla società, proprio perché sparsi sulla massa come sale sull’insalata. Com’è di consuetudine in questa rubrica, la riflessione riguardante i sette vizi capitali comprende soprattutto gli aspetti alternativi del fatto stesso. Spesso, veniamo colti da attacchi di noncuranza nel bel mezzo delle nostre giornate, dimostrando agli altri e a noi stessi che niente ci differenzia dalla massa. L’accidia non viene considerata mai un male del nostro tempo, a meno che non venga associata ai dati sui disturbi alimentari, obesità e attività sportive: è importante sottolineare come la popolazione mondiale si stia impigrendo, mettendo a rischio la salute, ma il fisico non è l’unico a risentirne. Quante volte è capitato di incontrare per strada la vecchina del terzo piano? Quante volte ci siamo nascosti dietro il ritardo, gli appuntamenti o la poca confidenza e abbiamo tirato dritto, senza concederle un minimo di attenzione? Attenzione o aiuto. Di certo molte e non possiamo negarlo. Perché abbiamo sepolto il senso di colpa sotto un paio di palate di scuse? È semplice: il nostro cuore si sta seccando, come una pianta senza luce e acqua. Come la terra senza la pioggia, come una casa senza riscaldamento. Siate consapevoli, non apatici. La pigrizia emotiva è il vero male del nostro tempo: forse, uno dei peccati meno riconosciuti e più pericolosi. È dannoso lasciare un pezzo di noi agli altri? No. È dannoso offrire la nostra gentilezza? No. È dannoso giustificare il ritardo con un “Ho aiutato la mia vicina ad attraversare la strada. Sa, ha settant’anni ed è sola…”? No. Da quando in qua la cortesia è passata di moda?! Forse, da quando abbiamo smesso di preoccuparci per gli altri o da quando abbiamo iniziato a sbuffare di fronte a qualsiasi richiesta d’aiuto – nascosta dalla dignità del silenzio. “La signora non ha bisogno: è orgogliosa e non vuole che nessuno l’aiuti. E io sono in ritardo”: ce lo siamo ripetuto per un paio di volte e poi siamo fuggiti via, seppellendo il senso di colpa sotto una marea di scuse. Ci diciamo così tante bugie da non lasciare spazio ad altro, giustifichiamo la nostra svogliata aridità al punto da non lasciare spazio agli altri. Solo scuse, mai valide. Siate audaci, non apatici. La gentilezza spontanea non è l’unica a essere stata inghiottita dall’accidia emotiva. Anche gli affetti più cari risentono della nostra trascuratezza. Tra poco sarà natale e l’aspetto più consumistico (e divertente, non nascondiamoci dietro un dito) è fare regali alle persone che amiamo di più. Qual è lo spirito che accompagna i pomeriggi di shopping compulsivo dedicato agli altri? “Non so cosa regalarle/regalargli” sembra essere il titolo che va per la maggiore e i motori di ricerca impazziscono di risposte a buon mercato: dal banale profumo per lui alla riciclatissima cravatta, un anello per lei o qualsiasi oggetto assecondi i suoi desideri più impossibili. L’ignobile teatrino si ripete nei giorni di San Valentino, anniversari, compleanni, onomastici, lauree, matrimoni, nascite e addirittura funerali (se si vive fuori dall’Italia). Google non ci aiuta, ci suggerisce cosa regalare a chi amiamo, ma a voler bene alla nostra amica siamo noi e non Google. Possibile che il tempo passato insieme, i sentimenti, le emozioni non ci suggeriscano un pensiero che vada al di là della mera pagliacciata consumistica? Davvero non sappiamo cosa sognano il nostro fidanzato o nostra moglie?! Chiediamoci perché Google è amico in momenti così e forse verremo a capo della situazione: ascoltiamo le lamentele, registriamo gli sfoghi, ci prendiamo gli abbracci, ma non teniamo nulla per noi. Le emozioni sono pesanti da portare in spalla, si fa fatica a sopportarle. Figurarsi a darne di nostre. Siate profondi, non apatici. Veniamo al tasto dolente, quello che preme a tutti, ma solo in entrata e mai in uscita: l’amore. Sorvoliamo sulle dicerie che ruotano attorno ad esso: ‘è sorpassato’, ‘è sopravvalutato’, ‘non è un aspetto fondamentale della vita’. Tutto molto bello, tutto opinabile e tutto ribelle, ma mettiamo da parte gli spiriti sessantottini, che tutto questo andare contro corrente ha davvero stancato. Tempo fa, non si voleva concedere il proprio cuore perché flagellato da storie andate male, calpestato da partner insensibili o da brutti scherzi della vita: oggi, manco fosse per moda, si sceglie di non dare niente di sé. Consapevolmente e inspiegabilmente. “L’amore è sorpassato” disse colui che ha trasceso. Questi soggetti credono di aver capito il senso ultimo della vita, come se fosse possibile o se fosse per tutti lo stesso, e sbandierano la loro presunta consapevolezza di fronte a qualsiasi richiesta d’impegno. La verità è che l’amore pesa e fa male e loro non vogliono faticare: apatici, pigri, ma fondamentalmente liberi. Anche la libertà è un peso. L’amore è impegno, dedizione, avere volontà di ascoltare l’altro ed esserci, sempre. È vincolante, difficile, obbligatoriamente legato alla sincerità e a volte doloroso. Chi vorrebbe soffrire per amore? Chi vorrebbe legarsi a vita e non poter scegliere mai più? Chi non sarebbe sopraffatto dall’apatia al pensiero di dover ragionare per due, provare per due, vivere per due, solo perché l’altro è troppo pigro e svogliato per amare davvero? L’amore è una cosa seria, forse troppo per sobbarcarsene da soli, in un mondo di apatici. Forse, è per questo che l’Accidia emotiva è il più diffuso tra i peccati capitali: il nostro cuore è avvolto da una coperta caprettata e fa zapping tra le serie tv di Netflix. Pretendiamo amore vero, ma non siamo disposti a concederlo e non ci va di sentire (a cuore) l’altro al punto da poter fare da soli a natale. Senza l’aiuto di Google. Seppur equivalga a un tuffo nel vuoto, amare resta l’ ebbrezza più sconvolgente, esaltante, eccitante, viva che possiate provare: alzatevi dal divano e mollate quel maledetto televisore! Siate vivi, non apatici. Ovviamente, non si tratta di perbenismo spicciolo e bigotto, né tanto meno impellente necessità di fare di tutta l’erba un fascio. Anzi, citando l’uomo barbuto crocifisso, “Chi è senza peccato, scagli la prima pietra”.
Illustrazioni: Marta Dahlig