Non è stata una festa di partito, ma una festa sì, con un sole splendido e centinaia di bandiere di tutti i colori alzate dal vento freddissimo.
La manifestazione antifascista “E questo è il fiore…” era stata indetta dal PD dopo l’irruzione arrogante e intimidatoria (il fatto che non si sia venuti alle mani non autorizza a dire che fosse non violenta…) di un gruppo di facinorosi durante una riunione di Como senza Frontiere,rete di associazioni, gruppi, singoli cittadini, organizzazioni sindacali o religiose o politiche, che si è costituita quasi due anni fa attorno al fenomeno migratorio di cui Como come Ventimiglia è diventata quasi una capitale; questo ‘cartello’ di cittadini si è attivato in occasione della cosiddetta “Emergenza Stazione” (con centinaia di persone provenienti dall’Africa letteralmente accampate nei giardini della Stazione FFSS in attesa dell’occasione per tentare di proseguire verso la Svizzera e la Germania… un’esperienza di cui mi piacerebbe raccontare), e poi per l'”Emergenza Freddo” dell’inverno scorso, e così via, organizzando mensilmente la “Marcia dei Nuovi Desaparecidos” in città.
Manifestazione indetta dunque da un partito, ma diventata di tutti: c’erano le bandiere dei sindacati, quelle di associazioni di volontariato, di altre in difesa della Costituzione, tantissime bandiere (alcune originali delle Brigate combattenti) dell’ANPI cioè l’Associazione Nazionale Partigiani (che non è un anacronismo, purtroppo, visti questi chiari di luna), e gli striscioni degli studenti, e i cartelli di cittadini e cittadine comuni che si ribellano ai sempre più frequenti rigurgiti di intolleranza e tentativi di prevaricazione. Non occorre essere “di sinistra” per trovare inaccettabile la frase di congedo degli skinheads dopo l’irruzione e la lettura del loro farneticante comunicato: “Per voi nessun rispetto”. Perché senza reciproco rispetto pur nelle differenze non solo non c’è democrazia, ma non c’è neanche umanità.
“Siete diecimila!” avevano esultato gli organizzatori dal palco ma era un numero simbolico, come dire “siete miliardi”, ma altrettanto inverosimile è stata la stima di due-tremila persone fatta dalla TV locale… la verità sta nel mezzo, 4.000 o 5.000 direi. Tantissime rappresentanze da Lombardia, Piemonte, Veneto, da Genova, da Reggio Emilia “Città del Tricolore”, ma un ragazzo del mio gruppo ha incontrato anche gente venuta apposta dalla Calabria.
Mi ha particolarmente colpito, questa mattina di sabato 9 dicembre lì sulla riva del lago, tra il Monumento ai Caduti e il Tempio Voltiano che celebra la massima gloria cittadina (l’inventore della pila), il cartello con cui un’amica regista di teatro si è improvvisata donna-sandwich: “L’indifferenza e il silenzio dei giusti generano mostri”. Un’altra frase incorniciata dai più giovani: “Il razzismo è illegale”. E un’altra signora con un altro cartello contro l’intolleranza “365 giorni l’anno”.
Ho apprezzato che i politici (vari ministri, segretari di partito, la presidente della Camera) si siano tenuti in disparte: a un certo punto nel corso dell’organizzazione si è deciso di lasciar parlare i giovani e la Storia. Così dopo l’Inno Nazionale ha aperto la giornata l’intervento commosso di Anna Maria Francescato, coordinatrice di Como senza Frontiere (con qualche mugugno dei militanti di partito alle sue critiche verso il governo), di cui mi ha toccato un passo in particolare: “…il valore della risposta che Como senza Frontiere ha dato alla squadrismo: la non violenza. La difesa e l’applicazione della Costituzione nata dalla Resistenza sono e saranno sempre la nostra risposta alla violenza fascista. Portare avanti la lotta per i diritti umani di tutte e tutti è la nostra risposta a chi vuole fomentare l’orrore di una guerra tra poveri, mettendo in contrapposizione le sofferenze di chi ha poco con quelle di chi non ha nulla, sempre dimenticando che c’è chi ha troppo”.
Daniele Piervincenzi, il giornalista RAI aggredito a Ostia e invitato anche in rappresentanza di tutti i giornalisti che nel mondo si battono per la libera informazione, rischiando di persona contro mafie e dittature, ha concluso gli interventi leggendo un brano di Sandro Pertini, il presidente che inaugurò a Como il vicino Monumento alla Resistenza Europea circa 35 anni fa, e ringraziando il suo cameramen “che ha difeso la telecamera” per poter mostrare l’accaduto.
In mezzo, giovani e giovanissimi (tra cui nipoti di partigiani e perseguitati antifascisti) che hanno letto brani di lettere di condannati a morte per la libertà, quelle stesse lettere incise in tutte le lingue sui lastroni di bronzo del Monumento alla Resistenza. E canzoni, intonate dal gruppo SetteGrani, dai Beatles a “Bella Ciao”.
Alla fine un cordone di poliziotti circonda i politici che fanno una visita-lampo al Monumento alla Resistenza, sinceramente non ho mosso un passo per vederli, mi ha incantato invece un ragazzo giovanissimo che raccontava di suo nonno partigiano che avrebbe voluto essere lì presente malgrado i 91 anni. Qualcuno commentava che sarebbe stato più significativo tenere l’evento a Dongo o a Giulino, dove si concluse la dittatura, e chi scrive ha dovuto spiegare che non ci sarebbe lo spazio fisico per contenere tanta gente. Poco prima un lecchese mi aveva chiesto di salutargli Wilma: la quindicenne staffetta partigiana che scriveva a macchina i comunicati della 52a Brigata Garibaldi e che seduta sul davanzale della finestra di casa propria assistette alla cattura del Duce… Wilma è una cara amica, ha 87 anni ed è una delle donne più belle che io conosca, di dentro e di fuori.
Dopodiché ci riversiamo tutti in centro città tra bar, ristoranti e bancarelle (con buona pace di quegli esercenti che avevano protestato temendo un calo delle visite e delle vendite…), dando senz’altro “commercio” agli esercizi pubblici. Mi ritrovo in un bar alla ricerca di un cappuccino e un po’ di caldo insieme ad altre signore, l’aria da tranquillissime madri di famiglia, che rivedendo le foto della mattinata si preparano a tornare a Milano per la manifestazione davanti all’Ambasciata americana. Perché “in piazza c’erano tutti”, gente normale, anche coi figli piccoli, coi passeggini, le nonne avvolte nelle bandiere arcobaleno, a sfatare l’idea che “ai cortei” o “ai comizi” (e questo in realtà non era né l’uno né l’altro: era una testimonianza) vadano solo il metalmeccanico furioso in tuta blu o il ragazzotto fatto di canne coi capelli rasta e la maglietta del Che.
Io umanista cattolica ero accompagnata da uno scienziato ateo, c’era un conoscente con un lontano (e ampiamente espiato) passato nella lotta armata e un amico di famiglia che in sessant’anni non era mai stato a una manifestazione, sindache in fascia tricolore indignate per l’assenza del primo cittadino comasco… Gente che a quel “Liberté egalité fraternité” tutto sommato ci crede ancora, come alla pacifica espressione delle idee. Con un distinguo importante: “La propaganda fascista, nazista e razzista non è un’opinione tra le tante, non è un’idea cui garantire il diritto di espressione pur non condividendola. È la negazione delle idee, è la negazione dei fondamenti stessi della Repubblica italiana, più in generale della democrazia e addirittura dello stesso consorzio civile”. Ed è l’unico divieto contenuto nella Costituzione Italiana.
E gli ultimi commenti sulla giornata: speriamo serva. Speriamo non sia l’ultima festa, perché il mondo sta andando a rotoli.