Lo respiri tutto l’ animo di Bob Dylan, te lo senti dentro come una mano sottile che ti afferra il cuore dall’ interno e lo accarezza con delicatezza. Senti il talento enorme, la potente sensibilità artistica, il bisogno estremo di libertà, il disagio nell’ affrontare le imposizioni. La figura del musicista è quasi impalpabile, impossibile da contenere e trattenere da parte dei comuni mortali che gravitano nel suo sistema solare come pianeti o semplici asteroidi. La sua musica e la sua figura incantano ma lasciano dentro un profondo senso di malinconia, di contemplazione di un ideale irraggiungibile. Timothée Chalamet è sempre pura poesia, incarnando una leggenda e la sua ascesa.
La sua aria botticelliana incarna la figura insondabile, magnifica e a tratti crudele del musicista, ma senza renderla scostante, restituendo freschezza e intensità. Bob Dylan era già un genio a vent’anni, viene scoperto da Pete Seeger e guidato sotto la sua ala protettiva. Pete è un, come sempre, superbo Edward Norton. Il successo glorifica Dylan come simbolo della musica folk e la difesa dei diritti civili. Insofferente alle classificazioni ha imposto la sua libertà di essere, di esistere come artista, fuori da ogni schema, fuori da qualsiasi identificazione in un genere preciso. La vera libertà è la forza di essere se stessi, anche se tutto sembra remare contro, anche se persino chi ti ama ti vorrebbe conformista e accomodante. Per fortuna ognuno nella vita può trovare un Johnny Cash che lo esorta a buttare giù muri e barriere per tornare a respirare. Straordinarie le figure femminili: la dolce Sylvie, interpretata da una struggente Elle Fanning, e l’iconica Joan Baez, calzata come un guanto da Monica Barbaro. Le scene nella stanza di ospedale con Woody Guthrie sono indimenticabili. Per gli amanti di Dylan è assolutamente un must, per gli amanti del buon cinema sono due ore e venti minuti incantevoli.