“If you have no voice, scream.
If you have no legs, run.
If you have no hope, invent.
(Cirque du Soleil, Alegria Poster)”
Quando il vessillo della mediocrità è sbandierato con orgoglio e senza il minimo ritegno. La vergogna non si sa nemmeno dove stia di casa. A che pro vergognarsi, poi? Sono gli altri ad essere “sbagliati”: l’uomo non è fatto per avere le ali, ricordiamo tutti la fine ingloriosa che fece il povero Icaro, vero? Meglio dunque starsene con i piedi ben piantati per terra e gli occhi bassi, sia mai che si osi avere ambizioni che alcuni non arrivano nemmeno ad immaginare.
Ogni tempo ha il suo bersaglio preferito sul web.
Lo fu Samantha Cristoforetti, colpevole d’essere donna ed astronauta. Giammai, dissero alcuni ed alcune, le vere donne non studiano, non hanno ambizioni al di là di casa-marito-figli e se per caso si realizzano – con risultati sorprendenti – in altri ambiti è perché sono raccomandate o chissà che altro. Tra le loro capacità non è contemplato l’uso dell’intelletto e se invece esso è ben presente tali donne diventano automaticamente un modello da non imitare, perché mette in crisi un sistema maschilista che spesso sfiora il becero.
Nei giorni passato è stato il caso di Bebe Vio, la campionessa di scherma alle paralimpiadi di Rio. Invitata alla Casa Bianca, ospite della Cena di Stato insieme ad una variegata e celebre delegazione italiana, nei giorni che hanno preceduto l’evento non ha minimamente nascosto la propria gioia e l’ha comunicata a tutto il popolo del web.
Apriti cielo.
Come osa, una ragazza disabile, esprimere così platealmente la felicità? È un insulto per tutti, ma coloro che sono perfettamente abili negli arti – però con i neuroni in sciopero, l’ambizione a livello-talpa e l’empatia emigrata per sempre su Plutone – si sono sentiti maggiormente tirati in causa, arrivando a bollarla come esibizionista. Una coda di paglia chilometrica.
E per cosa, poi, può aver meritato d’essere parte della delegazione italiana? Aver vinto un oro alle olimpiadi? Eh, ma capita tutti i giorni, suvvia! Che avrà mai fatto di speciale? Anch’io vinco la medaglia d’oro una mattina sì e l’altra pure, quando rincorro l’autobus e supero costantemente il record di Bolt.
La volpe e l’uva, una favola che si ripete costantemente nei secoli, sempre attuale nel messaggio che vuole lanciare.
I traguardi degli altri non sono vittorie da festeggiare, ma eventi da denigrare sempre e comunque, perché ricordano quel che non si è riusciti a fare. Sono moniti che rammentano che l’eccezionalità può essere racchiusa in ogni persona, a prescindere o proprio a causa di alcune circostanze, ma bisogna avere il coraggio di farla emergere, anche quando la vita sembra remarti contro.
La bolla di mediocrità di cui alcuni si circondano non va confusa con la semplice – e bella – normalità della maggioranza delle persone sul pianeta. È piuttosto un modo di vivere e di pensare, un puntare al ribasso, un tarparsi le ali da soli. Un dirsi costantemente “non si può fare, non serve a nulla, è troppo difficile.”
Impegno, fatica, passione, studio, si tramutano in parole vuote e senza senso, in miraggi da deridere. Costa troppa fatica piantarne i semi e coltivarli con cura, specie quando giungono le avversità. Molto meglio rintanarsi nel proprio angolino di mediocrità e stare a guardare con animosità chi si lascia spiccare le ali, chi rincorre un sogno e lo raggiunge, chi alza gli occhi a nuove mete.
«It’s not possible?!? I’m sorry, I don’t understand these words.»
Cosa sarà mai sfidare il rigido protocollo della Casa Bianca, quando hai sfidato la vita stessa?
Davanti a persone come Bebe, anziché ricordarci quanto siamo “piccoli” e per questo provare sterili e patetiche invidie, dovremmo solo sorridere grati, perché ci insegnano che guardare lontano è alla nostra portata più di quanto possiamo immaginare.
Chiara Liberti
Ci sono due modi di affrontare le difficoltà. Modificare le difficoltà o modificare te stesso in modo da affrontarle.
(Phyllis Bottome)
In questi giorni si è parlato molto di Beatrice “Bebe” Vio e della sua partecipazione alla cena di gala alla Casa Bianca, dove la campionessa paralimpica di scherma faceva parte della delegazione italiana insieme a Fabiola Gianotti, direttrice del Cern, la sindaca di Lampedusa Giusi Nicolini, e la curatrice del dipartimento di Architettura e Design del Moma Paola Antonelli, oltre che i due premi Oscar Paolo Sorrentino e Roberto Benigni, intervenuto insieme alla moglie Nicoletta Braschi, anch’essa apprezzata attrice.
Abbiamo letto cose irripetibili, cose oscene nei confronti di una ragazza, la cui unica colpa è di essere un simbolo vincente di questo paese.
Tralasciando che da sempre troppi italiani hanno questa abitudine odiosa di sputare addosso alle eccellenze del nostro paese perché, come diceva il buon Enzo Ferrari: “Gli italiani al prossimo loro tutto perdonano fuorché il successo”, tralasciando questa cosa che ci fa venire il nervoso, vorremmo concentrarci su un’altra questione.
Lor signori rancorosi pensano che Beatrice non abbia mai pianto? Non abbia mai sofferto? Credete che quando le furono amputati gli arti fosse felice? Ci avete pensato come possa essersi sentita la piccola Beatrice di fronte ad una cosa del genere?
No, non ci avete pensato perché siete troppo gelosi.
Sì, gelosi e invidiosi del fatto che lei è andata oltre quelle lacrime, è andata oltre quel dolore, forse ha anche usata la rabbia per arrivare dove arrivata.
Ecco perché è un’eroina vera.
Perché sa cosa passano ogni giorno tanti bambini disabili e malati, lei lo sa, lo ha vissuto e con la sua forza, il suo coraggio, ha dato loro speranza e gioia. Ha dimostrato che tutto è possibile. Forse è proprio questo che ha scaturito l’invidia e la cattiveria di certe persone.
Quelle che vorrebbero che tutto rimanesse tutto uguale, che non concepisce che si possa rivolgere lo sguardo aldilà dei propri confini che è esattamente quello che Beatrice ha fatto.
Quindi perdonateci se non abbiamo nessuna voglia di schierarci con la vostra povertà d’animo ma gioiamo con lei nel vederla fare i selfie con il presidente Obama perché per lei, non per voi, la parola impossibile non esiste.
Articolo redatto da Simona Ingrassia e Silvia Azzaroli