“Angelo di Dio, che sei il mio custode…”
A volte ci sono giornate così frenetiche – sempre di corsa, tra scadenze ed orari impietosi, corse dell’ultimo minuto per prendere il bus al volo, un panino mangiato senza nemmeno sedersi… – che quando penso al mio angelo custode me l’immagino con il fiatone ed i capelli scarmigliati, con l’aria un po’ disperata di chi si domanda “ma tra tutti gli esseri umani, proprio questa mi doveva capitare?”
Tra il serio ed il faceto, le creature angeliche hanno da sempre affascinato l’umanità, fin dalla loro comparsa in svariate religioni anche ben precedenti all’ebraismo. Messaggere degli dei, erano una sorta di tramite tra umano e divino, e questa credenza è rimasta uguale anche con l’avvento del cristianesimo. Per i cristiani, a differenza degli altri “colleghi” con altri compiti, gli angeli custodi sono la dimostrazione dell’interesse perenne che Dio ha per ogni singola persona durante tutta la sua vita, un abbraccio che dura dal primo vagito all’ultimo respiro.
E’ proprio il concetto di protezione e di aiuto che qualche decennio fa ha indotto ad accostare la festa degli angeli custodi, il 2 ottobre, ad una giornata dedicata ai nonni: angeli senza ali, radici di un passato mai troppo lontano e custodi di memorie che sono un vero tesoro.
Nella frenesia del mondo odierno, i nonni condividono con gli angeli custodi la cura della famiglia e – sempre più spesso – la cura dei nipoti, mentre i genitori sono oberati di lavoro. Li vedi quando accompagnano i bambini a scuola e li riconosci perché il più delle volte hanno il sacrosanto dono della lentezza: non corrono come disperati, ma passeggiano tranquilli riuscendo ad essere sempre puntuali. All’uscita, poi, sono quelli che per chiamare i nipoti sventolano tra le mani il cartoccio della merenda e lo aprono pian piano, quasi centellinando la golosa sorpresa.
I nonni di oggi sono sicuramente diversi da quelli di ieri. Meno capelli argentati, più attivi e tecnologici. Talvolta si vedono scippati del lusso di essere vecchi e del solo compito della reminiscenza del passato, sono ancora chiamati in causa “per fare progetti, realizzare sogni e coniugare i verbi al futuro: compiti non più ad appannaggio esclusivo della giovinezza.” (Massimo Gramellini)
Chi ha avuto la possibilità di crescere con i nonni – uno o più – possiede una rara fortuna, un patrimonio fatto di storie, di echi lontani, di consuetudini diverse raccontate come si raccontano la favole, cominciando con “c’era una volta…”
Ognuno di noi ha la propria di favola narrata, che è rimasta fissa nella memoria, riposta in un cassettino custodito con la massima cura.
C’era una volta… e scommetto che ricordate il luogo in cui avvenivano questi racconti, ricordate dove eravate, cosa stavate facendo insieme, i profumi che aleggiavano nell’aria. E, per chi come me non può più attingere alla fonte diretta, perché il nonno o la nonna sono diventati angeli a tutti gli effetti(*), ogni tanto capita di riaprire quel cassettino, per rimirare con il cuore un tempo passato che aveva il sapore della felicità, anche se io non lo sapevo ancora.
Cara nonna,
Non arrivavo a vedere sopra il tavolo nemmeno se mi mettevo in punta di piedi. Allora ridendo andavi a prendere un cuscino, mi issavi sulla sedia e con la frase “ ‘desso te conto mi” (adesso ti racconto io) sapevi di ottenere la mia completa attenzione. Poi prendevi dalla credenza la farina, le uova ed altri ingredienti ed iniziava la magia, mentre fuori dalla finestra aperta il canto delle cicale faceva da sottofondo musicale: le mani impastavano con tranquilla esperienza e la voce narrava di tempi lontani lontani, in cui non era nata nemmeno la mia mamma. Vestiti lunghi, trecce arrotolate sulla testa, la tragedia della guerra, la speranza di momenti migliori, la gioia di veder nascere i tuoi nipoti. E poi i nomi… tutti quelli del parentado, prima di ricordarti il mio. La vecchiaia, dicevi, ma dentro quel tuo chiamare tutti c’era la cura per ognuno di noi, il pensiero perenne per la nostra serenità anche a scapito della tua.
Non ho mai imparato ad arrotolare gli gnocchi con la forchetta, come facevi tu in un lampo. Tuttavia, ogni volta che metto mano allo stesso cibo, dentro di me riecheggia ancora la tua voce pacata che insegna e racconta.
Radice immensa di un grande albero dal fusto largo e dai molti rami, sei la linfa che ancora continua a scorrere dentro ognuno di noi.
Articolo tratto da Sulla Strada di Emmaus