Oggi e’ la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Questa ricorrenza è stata istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1999, la data è stata scelta per ricordare il brutale assassinio delle tre sorelle Mirabal, avvenuto il 25 novembre 1960, tre donne coraggiose che si erano opposte al dittatore dominicano Trujillo.
Scoprite la storia di queste donne che non si sono arrese e alle quali dobbiamo questa giornata, dalle parole della figlia/nipote delle tre donne.
Con Kerry Washington (Scandal) protagonista e produttrice, affiancata da Greg Kinnear (Rake) e Wendell Pierce (The Wire) nei ruoli principali. Il film, basato su una storia vera, è stato scritto da Susannah Grant, sceneggiatrice di Erin Brockovich e diretto da Rick Famuyiwa, vede tra gli altri interpreti tantissimi facce note ai telefilm addicted come Zoe-Lister-Jones (Life in pieces), Alison Wright (The Americans), Erika Jane Christensen (Parenthood), Bill Irwin (Law and order: SVU), Eric Stonestreet (Modern Family), Treat Williams (Everwood), Grace Gummer (Mr Robot) Jeffrey Whrigt (Westworld) e la cantante Jennifer Hudson.
Aldilà della bravura nella recitazione, dell’eccellente lavoro di sceneggiatura e regia e dell’accuratezza della trasposizione il film porta sicuramente lo spettatore (ma forse sarebbe meglio dire la spettatrice, più sensibile all’argomento) ad alcune riflessioni.
La storia si svolge nel 1991, i fatti erano avvenuti tra il 1981 e il 1982, in uno stato molto conservatore (per non dire arretrato mentalmente e maschilista), lei era di colore (ma anche lui), la giustizia, la mentalità, la morale, l’attenzione mediatica erano differenti. Guardando il film oggi, nel 2016, ci sembra tutto così lontano. Ma è davvero cosi? Perché a ben vedere a me sembra che poco sia cambiato dal 1991.
E’ vero come dice la locandina che serve una voce per cambiare la storia ma poi?
Poi che succede a quella voce che prova a farsi sentire? Che trova il coraggio di farsi avanti? Prima di tutto non viene creduta, a prescindere. Perché donna (non datemi della femminista perché questa è la prima discriminante, sempre, anche nel nostro bel paese). Viene schernita, accusata per non aver detto nulla prima (e poco importa se la motivazione è la paura) accusata di “essersela cercata” (quante volte lo sentiamo dire oggi) oppure nel suo caso hanno inventato che avesse un disturbo psichiatrico. In tutto questo lei era giudicata (o quanto meno ascoltata) da una commissione di suoi pari (Se vogliamo considerare pari di una donna trentacinquenne di colore una decina di uomini, tutti oltre i 50 anni, bianchi) e basta guardare la differenza di tempo per la prima deposizione e le domande, 1h lui più di 8h lei, per capire quanto fossero imparziali. Queste cose mi fanno incazzare perché penso che anche oggi quando una donna subisce una violenza, verbale o fisica, i primi “giudici” pronti a sparare a zero sono proprio gli uomini, ma che ne sanno loro!
Ma avete mai pensato alle conseguenze che subisce una donna che accusa? Da vittima diventa colpevole, da accusatrice ad accusata. Anni di duro lavoro, integrità, sacrifici buttati al vento, tutto messo in discussione, passato presente e futuro. Ne vale la pena? Razionalmente, NO.
E allora “scusate tutte quelle donne codarde che non denunciano, non lasciano, non si espongono e preferiscono tenersi tutto dentro” (ovviamente è ironico, meglio specificare) perché non ce la fanno ad affrontare tutto pubblicamente (la Hill era avvocato, docente universitaria, sostenuta da amici avvocati e giudici, e non ce l’ha fatta a reggere tutto… pensate ad una casalinga, per esempio) e poi magari finisco ammazzate (come succede comunque anche a quelle che trovano il coraggio). E’ colpa loro, giusto?
Alla fine ha ragione Anita quando dice: “Non vogliono la verità. Vogliono vincere”