La rubrica “Perché non è un Gary Stu” questa volta si accinge ad affrontare una sfida difficile e parecchio complessa, ma indubbiamente stimolante.
Il Dottore.
Chi lo ama e lo segue con sincera passione e spirito critico non avrà bisogno di particolari motivazioni per comprendere che il Dottore molte volte è l’esatto contrario dello stereotipato Gary Stu, ma è altrettanto vero che esiste una cerchia di fan che non solo non si fa problemi a considerarlo tale, ma addirittura si mostra insofferente a quelle caratteristiche che differenziano il Dottore dall’eroe assolutamente perfetto.
Prima di continuare ringraziamo Telefilm uno stile di vita che pubblica i nostri articoli.
Prima di procedere con la lettura sono doverosi due avvisi: in questo articolo vi sono forti spoiler di tutta la nuova serie, per cui chi ha appena intrapreso la visione degli episodi è meglio che passi di qui in un secondo momento. Inoltre, per personale comodità, i titoli degli episodi ed alcune battute sono citati in lingua originale, anche perché a mio parere è il miglior modo per gustarsi la serie e scoprire così le differenze di linguaggio ed accento tra un Doctor e l’altro.
Come già fatto per Fox Mulder, Peter Bishop, River Song, Rey e per altri personaggi, vedremo passo dopo passo quali sono i tratti peculiari del Gary Stu e quali invece del Doctor, così da assaporare meglio le differenze.
Lo stereotipo-Gary Stu è sempre un ometto bello e prestante. Che sia un ragazzo od un uomo, di solito è quel tipo che fa girare la testa alla lei di turno, o alle fan del seguito. Ora, non c’è nulla di male nel creare un eroe bello, anche l’occhio vuole la sua parte soprattutto sul grande e sul piccolo schermo, ma il più delle volte il nostro Stu è di quel “bello” che fa passare in secondo piano tutto il resto, e la prima a venire brutalmente calpestata è proprio la trama della storia. Il mio pensiero sta andando immediatamente al protagonista delle “tot sfumature di nulla”, giusto per fare un esempio.
Non è il caso del Dottore, e per fortuna, aggiungo io.
A parte il Decimo Dottore, David Tennant, che personalmente considero uno degli uomini più belli di questo momento (potete anche dissentire, ma de gustibus non disputandum est e non cambierò idea), non si può dire che negli altri dodici il canone estetico sia quello preponderante.
I suoi creatori seppero vedere molto lungo, cinquant’anni fa, quando inventarono il personaggio.
Per dirla con un motto alla Marzullo il Dottore non è speciale perché è bello, ma è bello perché è speciale, per le esperienze che fa, per le avventure che vive e che fa vivere. Poco importa se non rispetta i canoni estetici che vorrebbero l’avvenenza a tutti i costi, non è quella che ci fa innamorare di lui.
“… E se offri a qualcuno tutto il tempo e lo spazio, non riuscirà a dirti di no.”
In questa frase Eleven riassume benissimo ciò che di lui tanto attira. Il Dottore offre mirabolanti avventure (e stavolta non è uno slogan tanto per dire, ma un vero e proprio dato di fatto) nel tempo e nello spazio. Con lui la noia batte in ritirata a gambe levate. Viaggi tra le stelle, balene nello spazio, una chiacchierata con Shakespeare o un’avventura nella preistoria, qualche scambio di battute con Nefertiti e Marco Polo, e poi alieni, Dalek, cyberman… nessun Gary Stu fino ad ora è riuscito a fare tanto e a regalarti una nota morale durante ogni peripezia.
“The Lonely God.”
Il Dio solitario.
Ammettiamolo. Che piaccia o meno, il Dottore ha poteri del tutto simili a quelli di una divinità.
È una caratteristica da Gary Stu? Sì, in alcune occasioni esiste questo tipo di stereotipo. Specie nelle fanfiction, nelle quali il personaggio di turno (compresa la sua controparte femminile, la Mary Sue), solitamente una self-insertion di chi scrive, possiede poteri così straordinari da far impallidire qualsiasi nemico e da stupire chiunque.
Per il Dottore, tuttavia, è tutto molto più complicato e anzi è una caratteristica che gli regala numerose sfaccettature, decisamente molte più del Gary Stu.
A differenza di quest’ultimo, infatti, il nostro alieno di Gallifrey ha delle regole ferree che deve rispettare. Pur avendo tutto il tempo e lo spazio a disposizione ci sono eventi che nemmeno lui può modificare, come ad esempio la dipartita delle persone che ama.
Tutte le rigenerazioni del Dottore, in un modo o nell’altro, ad un certo punto hanno dovuto dare i loro strazianti addii. Io ancora piango lacrime a fiumi se penso alla fine di Donna e allo strazio di Eleven dinanzi all’impossibilità di salvare Amy e Rory, ma anche le ultime parole tra Twelve e Clara non scherzano in quanto a commozione.
Il Dottore spesso “è il primo a litigare con la storia” (citazione da The Doctor Dances), ma non lo fa mai senza un preciso scopo, che quasi sempre si riassume nell’intervenire per salvare il corso degli eventi.
Eroe superperfetto, superman senza mantello che salva tutto e tutti, divinità dal potere illimitato?
No.
Decisamente no.
“Everybody lives!”, urla un raggiante Nine alla fine di una storia che finalmente ha avuto il proprio lieto epilogo. Ma per un esempio così, ci sono decine di controesempi che ci dimostrano come il Dottore spesso decida con un macigno sul cuore, quando invece non si comporta da vero bastardo che non lascia possibilità alcuna.
L’episodio natalizio Voyage of the Damned fu da alcuni fortemente criticato per l’accostamento tra il Doctor e la divinità, eppure una delle battute finali è particolarmente significativa e ci mostra tutti i limiti del nostro alieno. Abbattuto per la dipartita di Astrid e per quella di altri compagni di avventura, osserva con malcelata rabbia il fatto che sia sopravvissuto chi non ha avuto nessuno slancio di altruismo verso coloro che si sono sacrificati. È in quel momento che si sente dire che non spetta a lui decidere chi sia meritevole di sopravvivere o meno, nonostante tutto l’affetto che si possa provare: una frase emblematica, che è quasi un far rientrare il Dottore nei ranghi, un ricordargli che egli possiede dei limiti che non può valicare, che lui non ha potere di vita o di morte sugli altri.
In The Vampires of Venice, invece, Eleven si dimostra quasi crudele e sembra oltrepassare quel limite oltre cui non dovrebbe spingersi. Non si lancia in troppi discorsi o giri di parole, dichiara apertamente di avere intenzione di fermare le azioni degli alieni e la sua motivazione è incredibilmente toccante quanto particolare: Rosanna Calvierri non ricorda il nome della povera umana “vampirizzata”, Isabella, segno
che non ha a cuore la sorte altrui ma pensa solo alla sopravvivenza della propria specie. Nessuna mano tesa a proporre un’alternativa di salvezza o qualche piano di convivenza civile, nessuna soluzione arzigogolata. Eleven salvaguardia la specie umana e lo fa sapendo di condannare a morte quella aliena. Un gesto estremo, incredibile. Una pretesa di assolutismo che viene rinfacciata al Doctor dalla stessa Rosanna e che in parte lascia con l’amaro in bocca, ma fa comprendere allo spettatore che per salvare le persone che ama il nostro gallifreyano non esita a ricorrere a qualsiasi mezzo, anche a quelli meno ortodossi.
Twelve con Clara Oswald sarà addirittura più sfacciato ed ancora mi sembra di udire le urla scandalizzate di alcuni fan che hanno gridato all’anatema dinanzi al gesto estremo di un Doctor disperato per la dipartita di una companion tanto amata. In Hell Bent, tornato infatti su Gallifrey, non esiterà a puntare un’arma contro il Generale – dopo aver dimostrato per l’ennesima volta che “Regola numero uno: il Dottore mente” non è un eufemismo – e a sparargli, costringendolo così a rigenerarsi, chiedendogli però, prima, se ha ancora rigenerazioni. Il lato più triste di questa vicenda sta nel fatto che il “salvataggio” della companion cui è affezionato e le sue conseguenze si risolveranno in una maniera decisamente poco ortodossa. A piena dimostrazione del fatto che, seppur con modi ed azioni che denotano un’autorità quasi assoluta, ci sia sempre un rovescio della medaglia cui il Dottore stesso deve sottostare e non è quasi mai un rovescio da happy end.
Qualcuno non è ancora convinto della differenza tra Doctor e Gary Stu?
Analizziamo uno per uno i Dottori della nuova serie. Partendo da Nine… e peste vi colga se per caso l’avete saltato per passare subito a quello interpretato dal bel David Tennant.
Nine ha l’aspetto apparentemente burbero – e le simpatiche orecchie – di Christopher Eccleston. Ad un occhio attento non sfugge la nota di malinconia che spesso fa capolino dal suo sguardo. Sicuramente è ben lontano dall’essere lo stereotipato Gary Stu: seppur Rose s’invaghisca di lui quasi subito e gli regali una fiducia incredibile, quella della ragazza è attrazione dettata soprattutto dai nuovi mondi che scopre grazie a lui. Non è un perdere la testa senza motivo e solo per canoni estetici, ma un innamoramento nel senso quasi “classico” del termine: Didone si innamorò di Enea solo durante il suo lungo racconto delle avventure trascorse, giusto per fare un parallelo.
In “Dalek” assistiamo a quello che si può definire il lato oscuro del Doctor: la sua avversione per i suoi mortali nemici che lo porta a non provare pietà alcuna – e come dargli torto? – verso un Dalek solitario torturato dagli esseri umani, ma anche con Cassandra non scherza e le farà pagare cara la morte di gente innocente.
Nine ha avuto l’arduo peso di tornare a far innamorare del Doctor dopo alcuni anni di assenza della serie e, nonostante alcuni suoi modi burberi che possono farlo sembrare scontroso, ha il pregio di far emergere il grande senso di giustizia che permea le sue azioni, dal primo all’ultimo episodio. Un Doctor che ci ha lasciati troppo presto, secondo me, e che non è in nulla inferiore agli altri della serie, sia classica che nuova. Saltarlo solo per vedersi il bel faccino di David Tennant – ebbene sì, esistono “fan” che hanno osato tanto e se ne vantano pure – è un’ingiustizia nei confronti di un personaggio così cruciale, a cavallo tra “vecchio” e “nuovo”.
Ten, il “Dottore umano” o “Il Dottore dell’amore”, come molti l’hanno definito.
Il Dottore che ha mandato in crisi la produzione, poiché David Tennant ha saputo con lui raggiungere vette di recitazione splendida, coinvolgente e toccante.
Del Gary Stu, tuttavia, ha solo la bellezza, ma nessun stereotipo.
Due soli esempi esplicativi, giusto per non dilungarmi eccessivamente: il doppio episodio di Human Nature-The Family of Blood e Water Of Mars.
Costretto a nascondere la sua essenza di Time Lord, Ten si trova nelle vesti di un professore che nulla ricorda della sua vera identità. Vediamo così sul piccolo schermo un uomo che è molto diverso dal Dottore che eravamo abituati a conoscere. L’innamoramento dell’infermiera Joan, l’attacco alieno ed il tentativo di Martha a farlo tornare Time Lord sono i tre punti cardine che regalano alla storia il suo apice. Il Gary Stu come si sarebbe comportato in un’occasione del genere? Quasi certamente avremmo assistito all’eroismo a tutti i costi, magari con toni iperbolici e ad una rivelazione della propria identità da lasciare tutti a bocca aperta.
Con il Dottore non si cade in questo passo falso.
Ten, anzi, John Smith, recalcitra. Non si lancia in atti eroici contro gli alieni, ne ha paura, come tutti. Non rinuncia alla propria identità umana tanto facilmente, anzi. Le sue lacrime accorate, le sue proteste dinanzi ad un’esistenza che sembra quasi non volere, il suo disorientamento di fronte all’idea che il Dottore aveva ipotizzato tutte le previsioni tranne quella dell’innamorarsi, ci mostrano tutta la fragilità di un Time Lord che per essere se stesso ha dovuto fare delle rinunce non da poco.
Una vita che non è solo sua, ma in funzione degli altri: questo è il Dottore di Ten. L’accettazione a tornare se stesso, a rinunciare ad un’esistenza semplice e forse monotona quale quella degli esseri umani, è un vero e proprio sacrificio che egli fa e non per sé, ma per scongiurare altre vittime nel villaggio. Forse proprio per questo la sua vendetta sugli alieni mi risulta veramente terribile nella sua pacatezza e calma apparente che non fa sconto alcuno ma condanna per l’eternità.
Anche qui, nuovamente, ci viene mostrata la prerogativa divina di autorità e il compito di rimettere ordine nel caos che si è creato, d’altronde in Water of Mars sarà più che esplicito, affermando di avere “la manutenzione dell’universo”.
Il Dottore non è esentato dal dover pagare il prezzo delle proprie azioni: non è il classico “deus ex machina” che interviene dall’esterno e poi scompare, ma si sporca le mani entrando nell’esistenza delle persone e accettando di rimanere coinvolto.
Water Of Mars è un episodio cardine e segna la parabola discendente di Ten.
Signore del Tempo, sa di non poter interferire nella storia, specie in quella che presenta dei punti fissi che nemmeno lui può modificare, come la morte di alcune persone. Ma è una spina nel fianco, questa. E l’impossibilità a salvare l’equipaggio in missione su Marte lo manda in crisi, poiché gli è inconcepibile il non poter impedire gli eventi, soprattutto se egli è lì, a portata di mano per poter essere d’aiuto.
Così arriva ad una soluzione estrema.
Ultimo Signore del Tempo, e quindi unico, senza nessuno a cui dover rendere conto se non se stesso, o almeno così gli sembra.
Manda al diavolo tutte le regole. Innalza la propria autorità in maniera assoluta che non conosce confini, valicando, di fatto, proprio l’unico limite che non gli è concesso oltrepassare.
Il Gary Stu di turno probabilmente farebbe la medesima cosa, ma difficilmente comprenderebbe le conseguenze o accetterebbe di pagarne il peso. Cosa che invece Ten fa, rendendosi dolorosamente conto di essersi spinto troppo oltre.
Quel “Time Lord victorious” è in realtà un volo di Icaro e la presa di coscienza è straziante, anche perché sarà Adelaide a riportarlo alla dura realtà dei suoi limiti, decidendo di uccidersi. Un finale purtroppo un po’ tirato per i capelli – il suicidio della donna sembra più una necessità di trama che un dato coerente con il personaggio, almeno secondo me – e leggermente frettoloso, di cui è meglio coglierne il senso globale che la verosimiglianza a livello narrativo.
Eleven, Matt Smith, è il più alieno ed il più badass dei Dottori.
I suoi due monologhi – The Pandorica Opens e Rings of Akhaten – ci mostrano la sua forza e la sua fragilità: da essi emerge la consapevolezza di essere un gradino al di sopra degli altri a causa di tutte le esperienze vissute, nel bene e nel male.
Di lui ho amato la sua gestualità a tratti scoordinata e quasi comica, affiancata però ad una capacità espressiva notevole e che ha saputo conquistare il pubblico dopo la dolorosa dipartita di Ten.
La sua storia con River Song è l’anti-Gary Stuaggine per eccellenza (suvvia, concedetemi la licenza poetica).
Eleven e River s’incontrano, si inseguono, si salvano l’un l’altra sulla scia del tempo e dello spazio, una storia d’amore atipica perché di essa lo spettatore e lo stesso Dottore conoscono già il triste epilogo da cui, almeno per ora, non c’è possibilità di scampo. È proprio questa consapevolezza del Dottore a distanziarlo dal Gary Stu, perché egli si permette, nonostante tutto, di essere irriverente, pazzo, divertente, funambolico insieme alla dottoressa Song. Niente discorsi strappalacrime, niente spoiler – almeno da parte di Eleven – nessun gesto per poter provare a fermare il destino della donna che nel futuro si è sacrificata per lui. Sembra crudele, ma il primo ad esserne ferito è proprio lui, soprattutto quando scoprirà la vera identità di River ed il suo legame con gli amatissimi Amy e Rory. E non è un caso, almeno secondo me, che il Dottore si vedrà scivolare dalle dita tutti e tre senza poter intervenire, senza poter fare nulla che piangere per la sorte delle persone che ama. Inoltre Eleven evita di cambiare gli eventi proprio per amore di River, che in punto di morte lo implora di non farlo.
Twelve, Peter Capaldi, l’antitesi per eccellenza di ogni Gary Stu di questo mondo e di quelli paralleli.
Giudicato prima ancora di poter entrare in scena, da alcune “fan” fu immediatamente bollato come “troppo vecchio” e quindi poco adatto al ruolo, in barba al Primo Dottore ed agli altri della serie classica, non tutti giovanissimi come Smith e Tennant.
Twelve ha i modi burberi del Primo Dottore e di Nine, l’irriverenza di Eleven, la capacità di ricorrere agli stratagemmi di Ten. È un concentrato di tutti i Dottori messi insieme, ma al tempo stesso è
qualcuno di completamente diverso. È il Dottore libero dal peso di aver annientato Gallifrey e consapevole di non dover più scappare, ma anzi, desideroso di tornare a casa, anche se Gallifrey gli riserverà purtroppo un’amara esperienza; è il Dottore dalla fortissima irriverenza verso tutto e tutti, ma che sa anche essere profondamente desideroso di giustizia e di pace.
Che fosse una perfetta contrapposizione del Gary Stu lo abbiamo potuto notare fin da subito: Clara fatica moltissimo ad accettarlo e necessita dell’intercessione di Eleven per poter aprire gli occhi; è una scena che sembra quasi un occhiolino al pubblico, un riferimento nemmeno troppo velato alle sterili polemiche su un’età ed un aspetto fisico che farebbero invidia a parecchi maschietti del pianeta, dato che sprizza fascino da tutti i pori.
Tuttavia il punto più alto, secondo me, lo raggiunge con la nona stagione: il toccante monologo di The Zygon Inversion, che lo elegge a “Born to forgive”. Twelve è un Doctor pienamente calato nella realtà in cui vive, che ha visto e vissuto le rivoluzioni e ne comprende la portata e le conseguenze, che ha sperimentato sulla sua pelle la brutalità della guerra e fa di tutto per scongiurarla. Solo parole e ragionamenti, empatia verso la Zygon Bonnie, invito alla riflessione e proposta di perdono: un perdono che viene dato quasi a nome dell’umanità intera, molto simile a quel perdono divino narrato nella Bibbia, che cala come una carezza nonostante il male commesso.
La fantascienza, con questo discorso, entra prepotentemente nella realtà dei giorni nostri e proprio non riesco a comprendere come molte persone la considerino una sotto-specie di narrazione sganciata dal mondo in cui viviamo, dato che in esso ha invece radici profonde.
Twelve parlerà di pietà ad un Davros bambino e ci porrà di fronte alla dolorosa questione del male, che per essere prevenuto può richiedere il sacrificio di una persona ancora innocente? Ma anche entrerà a gamba tesa nella vita della giovane Ashildr, costringendola ad un’immortalità non voluta e che pesa come una condanna: le criticherà la durezza di cuore acquisita nei secoli ed in quella critica ci metterà tutto se stesso, dimostrandoci come il suo essere Time Lord ed il non poter impedire la dipartita di coloro che ama possono essere vissuti come una missione per aiutare ugualmente il prossimo e non per avere tornaconto personale, anche possedendo un caratteraccio ed un paio di occhiali da sole sonici.
Del Gary Stu io qui non vedo nemmeno un atomo.
Siamo giunti alla fine del nostro percorso, grazie per essere giunti fin qui, anche se di cose da dire ne avrei ancora altre, ma non è detto che non ci si possa confrontare negli eventuali commenti che ci vorrete lasciare, anzi, sono i benvenuti vista la complessità del discorso affrontato.
Da Natale ci aspettano altre avventure ed una nuova companion. Se la curiosità fosse una disciplina olimpica credo che in molti potremmo gareggiare per il podio.
Per citare una frase degli Ood, “la canzone termina qui, ma la storia continua ancora”.