Il 28 Febbraio 2024 è entrato in programmazione nei cinema italiani “Dune: Parte 2”, film di Dennis Villeneuve la cui prima parte era uscita nel 2021.
“Dune” (è corretto a questo punto considerare i due film come opera unica) è tratto dall’omonimo romanzo di Frank Herbert, pubblicato per la prima volta nel 1965; il romanzo è considerato una pietra miliare della fantascienza, avendo influenzato molte opere successive (George Lucas, per esempio, ha apertamente riconosciuto che “Star Wars” deve molto all’universo di Dune) ed ha dato vita ad una saga letteraria che a questo punto conta in tutto una trentina di opere, tra i romanzi scritti da Frank Herbert e quelli scritti successivamente dal figlio Brian in collaborazione con Kevin J. Anderson.
Un primo tentativo di portare “Dune” al cinema fu fatto negli anni ’70 ad opera del visionario regista Alejandro Jodorowsky; il progetto avrebbe visto la partecipazione di Salvador Dalì nel ruolo dell’Imperatore Shaddam IV, colonna sonora dei Rolling Stones, scenografie e costumi elaborati dal celebre fumettista Moebius e da H.R. Giger. Un progetto ambizioso, molto ambizioso – tanto che nessuno ebbe il coraggio di investire seriamente il capitale che sarebbe servito. Di quel tentativo restano tante tavole di bozzetti e idee che hanno generato un proprio appassionato seguito.
A portare quindi “Dune” al cinema fu quindi David Lynch nel 1984, con Dino De Laurentiis come produttore. Un film con un grande cast (tra gli altri Max Von Sydow, Kyle Mc Lachlan, Sean Young, Patrick Stewart, Francesca Annis, Jurgen Prochnow e Sting…), creature progettate da Carlo Rambaldi e diverse idee interessanti per costumi e caratterizzazioni – ma anche limitato dal budget e dall’esigenza imposta da De Laurentiis di contenere il minutaggio ben sotto le due ore. Il risultato è una storia messa assieme in qualche modo, con un finale alquanto incoerente.
Nel 2000 poi ci fu una miniserie televisiva trasmessa in USA da Sci Fi Channel e in Italia da Mediaset. Diretta da John Harrison e con un cast che include William Hurt e Giancarlo Giannini, la miniserie ebbe un discreto successo ed è ben considerata tra i fan del romanzo, anche se i limiti di budget legati al formato televisivo rendono molto poco presente il senso di grandezza che l’opera dovrebbe trasmettere.
Nel 2016 infine Legendary Pictures acquisì i diritti cinematografici dell’opera e iniziò a pianificare un film di grosso budget diretto da Dennis Villeneuve, già regista di “Arrival” e di “Blade Runner 2049”. Fin dall’inizio fu deciso di dividere il primo romanzo in due parti, ma fu finanziata solo la prima parte – la realizzazione della seconda parte sarebbe dipesa dai risultati di critica e pubblico della prima. Fortunatamente “Dune: parte 1” ha avuto decisamente successo, con incassi prossimi al miliardo di dollari (risultato ancor più notevole se si considera che si era ancora in periodo di COVID), il che ha permesso al regista di proseguire.
Chi scrive è appassionato della saga letteraria fin da ragazzo: lessi “Dune” per la prima volta a 14 anni e da allora l’ho riletto mediamente una volta all’anno. Negli anni ho letto tutti i libri della saga, incluse le opere postume, ho giocato a praticamente tutti i videogiochi, ho tediato amici e conoscenti sull’argomento, ho recitato la litania Bene Gesserit contro la paura prima di un esame importante, evito sempre di sedere con le spalle ad una porta, ho visto i film citati sopra e visitato la mostra dedicata ai bozzetti del film di Jodorowsky.
La prima parte dell’opera di Villeneuve mi era piaciuta molto, ero rimasto incantato dal modo in cui il regista aveva portato in vita il mondo di Arrakis – la sua grandiosità, ma anche i piccoli dettagli (in una certa scena mi sono ritrovato a mormorare reverente, nel buio della sala, “Muad’dib crea la propria acqua!” – una frase che avevo letto molte volte, ma che fino a quel momento non avevo realmente compreso). Così la sera del 29 in compagnia di un amico altrettanto appassionato mi sono seduto nella sala IMAX dell’UCI Cinemas di Orio al Serio con enormi aspettative e una latente paura di uscirne deluso. Come è andata? Ve lo dico qui sotto. Avvertimento: anche se cercherò di non essere eccessivamente specifico, inevitabilmente ci potranno essere SPOILER. Chi non conosce la storia e non vuole rovinarsi la sorpresa è avvertito.
Diciamo subito che a posteriori non avrei dovuto preoccuparmi. Il film é, in una parola, magnifico. Visionario, coerente, maestoso, terrificante. Nel corso delle 2 ore e 40 minuti di proiezione non sono riuscito a distrarmi un secondo, quasi avevo paura a sbattere le palpebre. Ne sono uscito stravolto e quasi sotto shock, incapace di articolare parola. Villeneuve aveva già reso la maestà di Dune nel primo film, ma qui si supera – mostrandoci tra le altre cose la vera potenza degli Shai-Hulud, i giganteschi vermi della sabbia. La scena in cui Paul per la prima volta ne “doma” uno è realizzata in modo sublime, sembra di essere lì con lui aggrappati a quel colosso lanciato a tutta velocità nel deserto.
Tutto il film è pervaso da una tensione che va crescendo (con un brevissimo interludio verso un terzo del film, che comunque non sfocia mai nella facile battuta o nel momento comico fuori luogo) sempre di più e che tiene avvinti alla poltrona, senza sollievo.
Il cast prosegue e migliora il lavoro fatto nella parte 1 e se Rebecca Ferguson si conferma splendida e bravissima interpretando una Lady Jessica più che mai ambigua, a un tempo strumento di forze storiche ben superiori all’umano ed astuta manipolatrice di credenze e persone, sono i due protagonisti a sorprendere ancora di più.
Chalamet nella prima parte del film ci fa intravedere il ragazzo che Paul effettivamente è – addestrato fin dall’infanzia ad essere un leader e un condottiero, e addestrato dai migliori maestri dell’Impero, ma pur sempre un ragazzo giovane e relativamente ingenuo, salvo poi “cambiare marcia” nella seconda parte quando gli eventi e gli Harkonnen lo costringono ad imboccare quel sentiero che non voleva imboccare – e da quel momento in avanti Chalamet mette semplicemente paura. C’è una scena particolare in cui Paul fa un discorso ai Fremen, lui solo al centro dell’attenzione con gli altri come spettatori, una scena in cui non ci sono possibili trucchi – o l’attore ‘rende’ o si diventa ridicoli – e Chalamet ne esce alla grande, evoca a tratti Alessandro, a tratti Gesù e a tratti Hitler, travolge con un senso di grandiosità e terrore.
Al suo fianco Zendaya, che nel primo film aveva un ruolo forzatamente limitato (anche nel libro Chani, il suo personaggio, appare effettivamente verso un terzo della storia), qui ha modo di dare eccellente prova di se stessa. Chani diventa più complessa ed attiva rispetto al libro (il libro, ricordiamo, è degli anni Sessanta – epoca in cui i personaggi femminili nei romanzi di avventura erano quasi esclusivamente “di un uomo” – mogli, madri, figlie, innamorate ma sempre e comunque accessorie. Sagge consigliere magari, spesso tenere consolatrici, talvolta valide compagne d’avventura, ma molto raramente personaggi autonomi. E Chani nel primo libro della saga non fa purtroppo eccezione, anche se nei libri successivi Herbert supererà anche questo limite) ed acquisisce profondità – una tra le non molte razionaliste pragmatiche in un popolo che è stato condizionato al misticismo e che da secoli attende il compiersi della Profezia, ha la sventura di innamorarsi del Messia predestinato e cerca di aiutarlo a non imboccare quel sentiero che gli si apre davanti – ma alla fine è impotente di fronte a forze troppo grandi per chiunque. In una scena cardine è costretta a diventare parte attiva della leggenda, ad adempiere ad una parte della Profezia per salvare il suo amato – maledice le circostanze e le persone che hanno creato quella situazione, ma non ha scelta. E Zendaya ci mostra bene tutto questo, la vediamo tenera e sognante nei momenti intimi, fiera e coraggiosa in battaglia, disperata ma indoma quando tutto precipita, con un’intensità che strappa brividi e lacrime. Se fino ad ora potevano esserci dubbi sulle sue capacità, ora per quel che mi riguarda non ci sono più.
Ma un’altra enorme sorpresa è Austin Butler nei panni di Feyd-Rautha Harkonnen – anche qui, un personaggio che assorbe tratti e ruoli di altri personaggi che, per forza di cose, nel film non possono apparire e che diventa quindi ancor più che nel libro uno “specchio oscuro” di Paul Atreides – qualcuno che “sarebbe potuto essere” se le circostanze fossero state diverse. Benché il suo tempo su schermo sia limitato, Butler rende perfettamente la lucida psicopatia di Feyd – mi ha ricordato in effetti il Joker di Heath Ledger ne “Il Cavaliere Oscuro”. Mimica corporea, espressioni, tono di voce…tutto contribusce a rendere Feyd un personaggio memorabile. La sua scena con Lea Seydoux nel ruolo di Margot Fenring, seducente Bene Gesserit mandata a metterlo alla prova e ad assicurarsi che i suoi geni non vadano perduti, è un sottile gioco tra fascino e potere.
In generale comunque tutto il cast è di livello stellare. Florence Pugh è in ascesa e la sua Principessa Irulan trasuda intelligenza, cultura, compostezza e sicurezza di se stessa come deve essere. Bardem è un eccellente Stilgar, Josh Brolin all’apice della sua carriera interpreta meravigliosamente Gurney Halleck (il mio personaggio preferito di tutta la saga) anche se il suo ruolo viene ridotto per forza di cose, Dave Bautista si mostra sempre meno ex-wrestler e sempre più attore e in un paio di scene ci mostra di essere capace di trasmettere pathos. Christopher Walken e Stellan Skarsgard completano il cast come Imperatore Shaddam IV e Barone Vladimir Harkonnen, mostrandosi attori di gran classe – ma questo direi non è affatto una sorpresa.
Difetti? Non saprei. Ci sono certamente cose che un po’ mi dispiacciono. L’assenza del Conte Fenring, personaggio meraviglioso – ma, mi rendo conto, pressoché infilmabile. Il ruolo di Gurney Halleck, forzatamente ridotto. Il fatto che tante delle sottotrame del libro (il sogno ecologico dei Fremen, il delicato equilibrio di potere tra Gilda, Grandi Case e Impero) restino appena accennate. Anche qui, necessità – includerle in modo adeguato avrebbe reso il film lungo ore ed ore, superando la capacità di sopportazione anche del pubblico più fanatico. Sono scelte artistiche, in ultima analisi, che personalmente capisco e apprezzo.
E adesso? Il film, come il libro, si conclude in media res – una parte della vita di Paul Atreides si è conclusa, ne sta iniziando un’altra. La vicenda di Paul si conclude nel secondo libro, “Messia di Dune”, il più corto della saga. Villeneuve ha già espresso interesse a dirigere un terzo film basato su questo libro, ma molto dipenderà dal successo di critica e pubblico di questo “Dune: Parte 2”. Per quel che mi concerne, non posso che invitare tutti i lettori ad andare a vedere questo capolavoro. Solo un’avvertenza: non aspettatevi riassunti di quanto già successo. Il film riprende direttamente da dove la prima parte si era conclusa – quindi se non ricordate bene cosa era successo, vi consiglio di ripassare a casa. Buona visione!