In Europeana, la fisarmonica era indispensabile, una protagonista, anzi una complice del nostro Caronte ideale, del nostro traghettatore nel XX secolo, suonata dalle abili mani di Marko Hatlak che gioca con Lino Guanciale in un duetto sornione ed ironico.
Ed è proprio la fisarmonica a decretare l’inizio della nostra avventura con le note di Jump di Van Halen e noi cosa facciamo?
Noi saltiamo, senza paura, pieni di fiducia ed entusiasmo e saltiamo su una giostra folle, che corre velocissima e mentre siamo aggrappati con tutta la nostra forza ci proietta attorno le immagini più disparate che prendono vita dalle parole di Lino Guanciale come in un gioco di prestigio.
È una corsa senza tregua, un lungo ed estenuante sprint di cui non hai alcun desiderio di vedere il traguardo.
Ti senti incalzare, travolgere, soffocare, ti manca il respiro e ti si azzera la salivazione.
Attraversa il racconto disincantato di terrificanti atrocità, accompagnando il viaggiatore con alcuni stralci di vita apparentemente comune, oggetti innocui che possono rappresentare simboli tossici o conquiste sociali, dalla Barbie al reggiseno, dal computer alla lavatrice, insieme illusioni e consolazioni dell’uomo comune.
Un’analisi vorticosa e spietata della razza umana, di ogni provenienza, di ogni etnia, di ogni credo religioso e politico.
Lino fa a pezzi tutti, vincitori e vinti, politicanti e politici, positivisti e filosofi, rivela le vittime incolpevoli e inconsapevoli, le donne, gli ebrei, gli omosessuali, gli zingari o semplicemente i disagiati di ogni nazione.
Lo stralcio del soldato tedesco che impazzisce, quando i suoi camerati gli dicono che il sapone con cui si sta lavando proviene dal grasso corporeo della sua amante ebrea, mi ha devastato l’immaginario per tutta la vita.
Ad un certo punto, tu che ascolti, senti fame d’aria, un bisogno insopprimibile di respirare e ti chiedi come sia possibile che questo extraterrestre stia parlando, raccontando, quasi vaneggiando, in un’estasi onirica e spietata da più di un’ora, senza fiato, senza soste, se non nelle brevi pause in cui il suono della fisarmonica, a volte scanzonato, altre malinconico, lo soccorrono in questo viaggio disperato.
Arrivi alla fine e lo capisci che la storia ha detto tutto ciò che doveva, che sta a te tirare le somme scendendo dalla giostra, ma non ci credi, vorresti fare un altro giro, per capire di più, per trovare altre chiavi di lettura, magari più felici, più serene e meno dissacranti.
Scendi e ti senti svuotato, annichilito, quasi privo di emozioni.
In realtà tutta la tua emotività è raccolta in un gomitolo emotivo, un ordigno che ti implode dentro, sprigionano tutta la sua potenza.
Ti ritornano una ad una tutte le immagini, tutti i concetti e cerchi di comprendere, di dare un lettura personale ed intima di questo secolo così contraddittorio eppure così unico, così fremente di idee e ideali, ma talmente feroce e incosciente.
Siamo migliorati? Abbiamo imparato qualcosa? Siamo pronti per proseguire in modo più responsabile e maturo?
La Storia di questo nuovo secolo lo racconterà ai nostri nipoti e speriamo solo di non fare una pessima figura.
Speriamo solo di non essere abili soldati, ottimi commercianti e di non avere del franco cameratismo. Dovremmo studiarlo bene il XX secolo, perché è analizzando le nostre radici che possiamo comprendere meglio chi siamo e in che direzione camminare.
La mia percezione di stasera è quella di aver assistito a qualcosa di unico, una mostruosa performance dal virtuosismo innegabile, come se avessi ascoltato Mozart eseguire una sinfonia inedita ed esclusiva, mai eseguita prima e il cui ricordo bruciante mi accompagnerà per sempre.
Europeana Libro di Patrick Quredrik