Molti adulti, per avere lo stesso punto di vista di un bambino, pensano che sia necessario abbassarsi. Sbagliato, anzi, sbagliatissimo.
Bisogna invece sapersi alzare, in punta di piedi, leggeri ma non troppo, poiché i bambini sanno volare più in alto dei grandi.
Ma, come diceva Antoine de Saint-Exupéry, i grandi questo non se lo ricordano, cosicché i piccoli devono spiegare loro ogni cosa.
Se qualcuno mi domandasse che cosa racconta il film io non potrei far altro che rispondere che il film non racconta.
Sono i bambini che si raccontano.
Raccontano di sé e della loro famiglia, della scuola, della crisi, di Dio.
Trentanove punti di vista, dagli otto ai tredici anni, che ti dicono com’è per loro il mondo e tu, adulta, maggiorenne e vaccinata, rimani a bocca aperta per la profondità dei loro pensieri, così semplici da far venire le vertigini.
Walter Veltroni tenta l’impresa e vince.
Non ci sono adulti presenti, tranne la voce fuori campo del regista, che è anche l’intervistatore dei piccoli. Anche le inquadrature sono a misura di bambino, soprattutto quelle finali in cui… no, non vi svelo nulla. Quando sarà il momento lo riconoscerete e non potrete fare a meno di sorridere. La colonna sonora è semplice e di grande impatto, ma il brano finale di una grande Fiorella Mannoia è un commovente incontro di parole, musiche ed immagini.
C’è il bimbo appassionato di calcio e quello con più fidanzatine che non sanno l’una dell’altra, c’è il piccolo matematico che per rilassarsi si diverte a fare le operazioni, e c’è il bimbo appassionato di Dante che vi saprà citare a memoria un lungo passo dalla Divina Commedia. Ci sono le gemelle che non sanno stare separate l’una dall’altra e c’è una piccola adolescente che sogna di diventare scrittrice.
L’Italia è abbracciata tutta in queste interviste, da nord a sud ed in tutte le sue sfaccettature della società. Bambini benestanti e bambini che sanno cosa significa le parole “crisi” e “disoccupazione”, piccoli che vivono in una casa spaziosa ed altri che invece dormono con tutta la famiglia in una stanza, o in una baraccopoli in un campo rom. Giovani che sono arrivati da lontano per fuggire dalla guerra, a bordo di una barca attraverso il Mediterraneo, e giovani che invece sognano di andare lontano e di calcare i palcoscenici più distanti come se fosse un’eterna vacanza.
Non è un mondo incantato, quello che raccontano i bambini. Essi ci guardano, ascoltano le nostre conversazioni e riflettono, meditano sul comportamento che assumiamo e se necessario non hanno timore a criticarlo.
I bambini sanno.
Sanno più cose di quante ne possiamo immaginare, se solo, come chiede uno di loro, ci fermassimo un po’ più spesso ad interpellarli.