Vengono definiti “vizi capitali” quei comportamenti che, incidendo sulla morale dell’uomo, provocherebbero la distruzione della sua anima. I semi maligni del peccato vengono piantati in cuori all’apparenza incorruttibili, scudati da virtù, protetti da un’aura di intelligenza, fierezza e bontà. Essi corrompono l’ingenuità, traviano l’innocenza e sporcano la purezza, illibata fino a poco prima.
Superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola, ira e accidia sembrano aver corrotto il mondo con un canto da sirena, risucchiando anche il più integerrimo di noi, schiavo e dipendente dal loro fascino.
Perché siamo stati corrotti? Come siamo arrivati a tutto questo?
L’Ira è un sentimento univoco, a cui non servono ulteriori spiegazioni e attraverso il quale si possono compiere azioni di qualsiasi genere: dalle più scellerate alle più villane, passando per quelle legalmente proibite.
Comunque, in termini tecnici, ovvero secondo Google, l’ira è riassumibile in: “Moto di reazione violenta, spesso rabbiosa, e per lo più non giustificabile sul piano umano e razionale”. Secondo il motore di ricerca più diffuso al mondo, il peccato d’ira è l’estremizzazione di un sentimento umano e giustificabile, quale la rabbia. Per sua natura, l’uomo è portato a provare collera, furore, indignazione, ma entro certi limiti queste sono considerate ancora normali reazioni umane. Accettare di essere arrabbiati è un modo per fermarsi e riflettere e quindi, andare avanti: non c’è nulla di più naturale che interrompere la quotidianità e pensare a cosa sta accadendo.
Con Google dalla nostra parte, possiamo dire che l’ira diventa peccato nel momento in cui non è più comprensibile, quando diventa sterile, ingiustificata, eccessiva e spesso, violenta. Oggi più di ieri, la rabbia sfocia in violenza.
Il clima di intolleranza sociale che detta legge nella nostra società ci porta a individuare categorie deboli sulle quali sfogare le nostre frustrazioni, il nostro odio, il nostro bisogno di ‘svuotarci’ di quel male oppressivo che accumuliamo nei vari ambienti della nostra vita. Un impiegato messo sotto pressione dal capo diventa un supervisore insensibile nei confronti del semplice apprendista, che a sua volta scaricherà il nervosismo accumulato sul primo sottoposto che gli capita a tiro: vediamo scene simili in qualsiasi luogo, perfino nelle nostre case.
Ogni giorno si registrano omicidi, stupri, azioni omofobe in numeri superiori del precedente e mentre aumentano i gruppi di potenziali vittime, le modalità di tali aggressioni si fanno sempre più agghiaccianti e macabre. Il moltiplicarsi dei casi di cronaca nera ci insegna a tenere conto delle sole statistiche, ma ci mostra il progressivo aumento di atti al limite dell’umano. Lungi da noi giustificare l’omicidio, anzi, ma sparare a qualcuno non può essere paragonato all’uccisione tramite tortura (pre o post mortem). Bambini che subiscono violenze e vengono poi uccisi, giovani donne picchiate e poi assassinate, uomini seviziati e poi eliminati come fossero niente: all’improvviso, la morte sembra non bastare più. Pare ci sia bisogno di altra, insostenibile e insopportabile violenza.
Siate umani, non rabbiosi.
Secondo alcuni, l’ira trascende dal significato letterale e assume spesso un senso trasversale, il quale tenta di spiegare il modo rabbioso attraverso cui ci esprimiamo. Tutto deve essere estremizzato, oggi, per essere considerato vero, anche l’amore e i suoi derivati.
Il successo dei ‘presunti’ libri erotici ne è la prova palese. Le lettrici si emozionano con l’uomo fascinoso che bacia l’insipida protagonista dopo averla sbattuta al muro. Qual è il problema?
Non sappiamo più emozionarci per le carezze dello sguardo?
Non sappiamo più sussultare per il tocco gentile di una mano che nasconde timida il desiderio di poterci toccare ovunque?
Estremizzare la passione non la renderà più viva, portarla all’esasperazione non accerterà l’esistenza dell’amore perché non è così che funziona: le emozioni sono indipendenti, possono vivere da sole, ma se si vuole descrivere l’amore lo si deve sotto qualsiasi aspetto che lo compone. L’amore è come un diamante, sa splendere di ogni colore esistente in natura e un diamante monocolore è qualcosa che annoia tutti dopo un po’.
Siate pazienti, non rabbiosi.
Abbiamo appurato che l’ira è un peccato capitale mutaforma, non circoscritto alla rabbia in sé, ma esteso al modo furioso e collerico attraverso cui ci si esprime.
La musica e il cinema sono un mezzo d’espressione discretamente diffuso e non è raro incontrare prodotti che spacciano violenza gratuita per alte forme di realismo. Sappiamo tutti che il medioevo era un tempo brutto, fatto di perversioni e violenza (come se oggi fosse diverso), ma è proprio necessario filmare un incesto con cadavere e/o tentativo di omicidio annesso? È necessario accendere la tv su un canale una volta musicale e trovare grida sguaiate di ricconi poco più che adolescenti che svaccano sguaiati tra discoteche, alcol e orge simpatiche? È necessario spostarsi si una rete ritenuta per bambini, alle otto di sera, e ritrovarsi a guardare un gioco di dubbia intelligenza, ma condito dal sedere di una bellona in mutande brasiliane?
Sia chiaro: non c’è alcuna volontà di fare moralismo, ma se si parla di vizi e virtù, si cerca di mettere a posto una camera disordinata e abbandonata al caos. Per chi scrive, si mette in conto di poter finire sulla gogna, tacciati di ipocrita bigotteria, ma chi legge dovrebbe mettere in conto una riflessione –seppur breve- riguardo ciò che legge. Forse, la verità è che nessuno di noi cambiò canale nel momento in cui compariva il bollino rosso e ripetiamo forse, è lecito rifletterci su, restare sul divano a guardare culi, tette, rutti e assassini ci ha portato al discorso di oggi: l’emozione è vera solo se forte.
Siate gentili, non rabbiosi.
Forse l’ira non è un vero e proprio vizio capitale, magari lo è più l’insensibilità che conduce a essa. Forse ci siamo abituati alle emozioni e come spesso accade alle relazioni a medio lungo termine, come quella tra l’uomo e la vita, la consuetudine finisce per braccarci. Abbiamo bisogno di emozioni diverse, carezze nuove e sguardi intensi per dimostrare a noi stessi che “we still got it”… ci sappiamo ancora fare, abbiamo ancora qualcosa dentro.
Ciò che credevamo fosse la trasgressione, oggi non ci basta più. Quell’emozione che ci faceva battere il cuore, quell’espressione di profonda sorpresa, quella mano davanti la bocca e gli occhi brillanti per il fuoco della ribellione sembrano non essere più sufficienti. Se prima un tubo di patatine al peperoncino ci faceva piangere e maledire di averlo comprato, oggi ci servono otto spezie differenti (tra cui paprika e habanero) per sentire qualcosa che solletichi il nostro palato.
Tutto eccessivo, tutto acceso come l’impeto dell’ira.
Citando l’uomo barbuto crocifisso, “Chi è senza peccato, scagli la prima pietra”.
Illustrazioni: Marta Dahlig