Craig Gillespie mette in scena la vita di Tonya Harding, la pattinatrice statunitense, vincitrice del titolo nazionale nel 1991 e l’esecutrice del famoso triplo axel, un salto che pochissime atlete al mondo sono state in grado di compiere. Dalla sua storia emerge la sua grande determinazione, la sua forza e la sua debolezza emotiva frutto di un rapporto con la madre pieno di violenza fisica e psicologica.
Il disagio personale la porterà a fare scelte sbagliate, all’incapacità di controllare gli scatti d’ira, a sposare l’uomo sbagliato e a subire violenze domestiche di ogni tipo. La vicenda culminerà con “l’incidente” causato alla collega Nancy Kerrigan. La più grande rivale di Tonya subirà una brutale aggressione, organizzata dalla guardia del corpo di Tonya e avente come possibile mandante suo marito Jeff. Le conseguenze per la Harding saranno rovinose e si ritroverà a perdere tutto ciò per cui ha lottato nella vita. Mi è venuta in mente una canzone di Bennato, “la fata”, perché Tonya è così, perfetta, algida e leggiadra sul ghiaccio, sembra volare, ma poi, proprio come nella canzone viene tirata giù, sulla terra a ricordarle che è una qualunque, che viene dal fango e che lì è destinata a restare. Proprio come nella canzone lei è quella che paga di più di tutti, quella a cui non si perdona nulla, che ha il conto più salato. Siamo però ben lontani dalla beatificazione, Tonya è aggressiva, rabbiosa, pronta a tutto per vincere. Non è di sicuro un personaggio positivo, non è una da cui imparare qualcosa. Come dice la sua allenatrice Tonya o la ami, o la odi. La sua indole la induce a circondarsi di persone violente, borderline e anche decisamente poco intelligenti. È una donna che pensa di valere solo se vince con i pattini ai piedi e che senza pattini si sente una nullità, lasciandosi soverchiare dalla madre, dal marito e dalle sue paure.
Non è una figura che suscita empatia, si vede per tutto il tempo una cometa lanciata verso l’autodistruzione. La ricostruzione innocentista del film è poi poco credibile ed è stato volutamente evitato il confronto con Nancy Kerrigan che avrebbe tolto molta magia alla rappresentazione di una donna ai margini, di una rejetta senza speranza. Margot Robbie è bravissima e convincente, sono certa che farà meraviglie in futuro. Allison Janney è folgorante, una madre terribile, disgustosa e inqualificabile. L’oscar se l’è meritato tutto. Sebastian Stan è riuscito a nascondere il soldato d’inverno dietro un uomo talmente insipido e incolore da rendere quasi impossibile comprendere la tolleranza della Harding verso di lui. Tonya rappresenta un’ America dura e feroce, un’America che viene dai campi e che vuole sentirsi ricoperta di stelle. Questa nazione ha bisogno di eroi positivi, di figure da amare, ma ha anche bisogno di qualcuno da odiare, di qualcuno a cui dare tutte le colpe. Uno di quei qualcuno è stato sicuramente Tonya Harding, che non è innocente ma non è neppure un mostro. È una persona vera che aveva un biglietto vincente della lotteria e l’ha buttato nella spazzatura.