Ricciardi –
Un’Intervista fuori dal tempo e dallo spazio
al mitico Commissario
C’è un’atmosfera molto triste qui, oggi!
Dovunque si respira mestizia…
È una sensazione palpabilissima, a tratti struggente!
Il cuore di chi si sofferma, anche solo per un istante, per una preghiera, per lasciare un fiore o un pensiero perdersi nel vento con la speranza che giunga dovunque si trovi l’anima di Giulia Cecchettin, appare visibilmente serrato in una morsa soffocante che, a volte, sembra non lasciare scampo.
Questo luogo, il lago di Barcis, normalmente gremito di turisti o semplicemente di famiglie che amano viverne ogni stagione, oggi è tristemente vuoto, solitario.
Sembra che il tempo si sia fermato per tutti, e non solo per quella povera ragazza strappata alla vita in modo così crudele e meschino.
Anche il cielo plumbeo, dal quale da poco ha iniziato a cadere qualche goccia di pioggia, pare lacrimare, di concerto a chi ha scelto di accompagnare Giulia Cecchettin nel suo ultimo viaggio.
Seduta su una panchina in riva al lago, attendo pazientemente e con un po’ di emozione colui che mi ha concesso questa intervista: il commissario Luigi Alfredo Ricciardi.
Le opinioni su di lui sono contrastanti: c’è chi, con superficialità ed anche – lasciatemelo dire – un briciolo di cattiveria, sostiene che porti jella, suppongo a causa del fatto che è molto chiuso e tende a rifuggire, o quantomeno ridurre al minimo indispensabile, i contatti con gli altri.
C’è un’altra fetta di popolo che, invece, lo reputa estremamente empatico e con una naturale propensione all’ascolto altrui.
Per ciò che ho potuto conoscere di lui, sebbene, finora, solo attraverso i mass media, si evince un uomo sì schivo, ma sensibile, attento, e la nomea di iettatore proprio non gli si addice.
Ma eccolo arrivare. Gli faccio un lieve cenno con la mano perché i nostri accordi sull’intervista sono stati solo ed esclusivamente telefonici per cui, mentre il suo volto per me è riconoscibile, il mio per lui no.
Il suo incedere è sicuro, deciso.
Le mani in tasca all’impermeabile sono il segno, consueto, della sua ritrosia al contatto con gli altri.
Chissà perché si comporta così e cosa lo spinga a chiudersi in sé stesso e ad erigere quel muro che lascia attraversare solo da pochi “eletti”…
Mentre la mente mi si riempie di questi ed altri interrogativi, lo osservo percorrere il lungolago, accorciando progressivamente la distanza fra di noi.
Le temperature, quest’oggi, sono rigide, anche a causa della brezza sollevatasi non da molto, che obbliga il commissario a provare a rimettere in ordine con un gesto tanto nervoso quanto, suppongo, abituale, il ricciolo ricadutogli sulla fronte a dispetto della brillantina con cui tenta di fissarlo.
È ormai a pochi passi da me quando, all’improvviso, qualcosa lo scuote dai suoi pensieri e lo costringe ad alzare lo sguardo, perennemente rivolto al manto stradale.
Si ferma di scatto e sbianca.
Per un tempo che appare interminabile, lo vedo fissare un punto imprecisato dinanzi a lui, con negli occhi un misto tra angoscia, dolore e rabbia.
So perfettamente a cosa sia dovuta questa sua reazione che, viceversa, parrebbe quantomeno spropositata.
Finora non ho voluto dirlo neanche a voi perché, sono certa, mi prendereste per pazza.
Anche con lui, almeno inizialmente, decido di far finta di nulla e tento di dissimulare.
Il commissario, totalmente ignaro della mia consapevolezza, si copre il viso quasi a volersi proteggere e subito dopo, accortosi del mio sguardo, tenta goffamente di ricomporsi, porgendomi la mano destra.
“Federica, immagino! – mi dice, aprendosi ad un timido sorriso appena accennato e non tradendo, neanche stavolta, la sua tendenza a non esporre la sua vera natura.
Poi prosegue – Sono Luigi Alfredo Ricciardi, commissario della Regia Questura di Napoli, per servirvi.
Nel mio viaggio fin quì mi sono chiesto quale potesse essere la reale motivazione della vostra intervista, ma non l’ho trovata.
In fondo, sono cilentano e presto servizio a Napoli mentre voi, per quanto svolgiate una professione che può avere una copertura territoriale più vasta della mia, risiedete qui in Friuli Venezia Giulia.
Dunque, anche i casi di cui ci occupiamo sono diversi, giocoforza. Cosa posso fare per voi, quindi? –
Mi domanda il commissario, tanto lapidario quanto generosamente bisognoso di spiegazioni.
Ed io, con il rispetto che si deve ad una forza dell’ordine e la devozione che nutro nei suoi confronti alla luce di tutto ciò che ho il privilegio di sapere di lui, gli rispondo:
“Come sicuramente saprà, questo è il giorno dell’ultimo saluto a Giulia Cecchettin, la ventiduenne brutalmente uccisa da numerosi fendenti, la stessa sera della scomparsa.”
Sto per proseguire il discorso quando leggo nel viso del commissario lo stesso gelo avvertito qualche minuto prima, nel pieno di ciò che lui chiama il Fatto, ossia riuscire a percepire l’ultimo pensiero delle anime dei morti di morte violenta.
Dunque, la mia cognizione del commissario va oltre i mass media, ho letto la sua storia scritta da chi ha familiarità con lui, conosco ogni tormento, ogni angolo della sua anima come fosse la mia.
E adesso che me lo trovo di fronte sono felice ed orgogliosa di incontrarlo finalmente di persona, ma anche maledettamente terrorizzata da quella che potrebbe essere la sua risposta quando verrà a sapere che sono a conoscenza di ciò che prova.
E credo proprio che nella reazione di qualche istante fa come in quella che ha interrotto il suo cammino verso di me si celasse l’aver visto e sentito l’anima di Giulia.
Ma mi faccio forza e proseguo: “Le dicevo di Giulia. Conosco la sua profonda umanità e, soprattutto, empatia, commissario…e vorrei sapere come si colloca rispetto a tutti questi femminicidi che si stanno brutalmente consumando negli ultimi anni.“
Ricciardi appare imbarazzato dalle mie lusinghe e immediatamente si richiude, come una tartaruga che ricaccia il corpo nel carapace non appena disturbata.
Ma poi riacquista lucidità e mi risponde:
“Inutile dirvi che sono profondamente indignato e schifato dall’atteggiamento possessivo e maschilista di tutti questi omuncoli che giurano amore vero alle proprie compagne di vita quando non fanno nient’altro che tenerle in pugno.
Io ho sempre nutrito profondo rispetto nei confronti di tutto il genere umano, e per la donna in particolare, e non tollero che, nei loro confronti, si alzi anche solo un dito.
La donna merita riguardo, ancora di più se si pensa che è la creatura che dà la vita, che è origine di ogni cosa.
Andrebbe venerata, rispettata e non vilipesa.
Quanto a Giulia, uccidendo lei è come aver posto fine a qualunque sogno, aspirazione di una qualsiasi ragazza della sua età. Giulia era generosa e attenta agli altri; uccidendola, abbiamo perso qualcosa tutti, non solo la sua famiglia ed i suoi amici.”
“Cosa bisognerebbe fare, secondo lei, per onorare al meglio la memoria di tutte queste donne che non ci sono più?” Chiedo poi al commissario.
“Io credo che noi italiani siamo un popolo estremamente generoso e capace di grandi slanci, ma tendiamo ad avere la memoria corta. Bisognerebbe non dimenticare per non cadere nello stesso errore ma, ogni volta, sembra ricominciare tutto daccapo.“
“E riguardo alla pena cosa mi dice?” Gli chiedo a questo punto.
“Se non avessi fiducia nella giustizia, non potrei fare questo mestiere.
E per l’aspettativa che nutro nei confronti degli altri, confido almeno nella confessione sincera di chi si macchia di tali reati, se anche la pena non dovesse essere esemplare.
A me interessa la verità, non la punizione.
A volte, preservare gli innocenti è più importante che fare giustizia.
Ma ora, ditemi una cosa voi… – Prosegue Ricciardi, ed io non so cosa aspettarmi. – All’inizio dell’intervista mi avete detto che, di me, apprezzate l’empatia, ma come fate ad affermarlo se questa è la prima volta che ci incontriamo di persona?”
Ok…questo è il momento buono per dirgli che so del Fatto…ci provo.
“Beh, la natura di una persona si percepisce anche attraverso lo schermo di una TV o le pagine di un giornale, ma io in realtà so più cose di lei di quanto creda. – Si irrigidisce di nuovo ma tento di tranquillizzarlo. – Sa, ho letto i libri che la riguardano, i racconti del suo amico Maurizio, e so cosa vive. Poco fa ha visto l’anima di Giulia, vero?!”
Ricciardi sbianca di nuovo perché non si aspettava che io sapessi del Fatto.
Soprattutto, non si aspettava che il suo amico Maurizio sbandierasse ai quattro venti la faccenda che lui percepisce le anime dei morti di morte violenta.
Tenta di dissimulare, ma io a quel punto sussurro alle sue orecchie una frase che, sono certa, colpirà nel segno: NON DIMENTICARTI DI NOI, l’ultimo pensiero della sua amata Enrica prima di lasciare questo mondo.
Ormai indifeso, scoppia in lacrime e conferma ciò che so:
“Sì, riesco a sentire l’ultimo pensiero delle anime dei morti di morte violenta, è così da quando ero bambino.
La loro sofferenza mi si scaraventa addosso con una violenza tale da farmi sentire senza pelle.
È anche questo il motivo che mi ha spinto a seguire questa strada: voler dare un po’ di pace alle anime che incontro, e che continuo a percepire fin quando non trovo colui, o colei, che l’ha strappata alla vita.
Per la mia professione potrebbe sembrare un vantaggio agli occhi degli altri, ma non sempre è così, anzi.
Prima ho reagito in quel modo perché ho visto l’anima di Giulia, sì!
Era lì, davanti a me, il lato sinistro del collo dilaniato dal fendente mortale, e sangue che sgorgava da quella ferita che l’ha condotta alla morte.
“Portami a casa, ho la laurea“, ripeteva…una supplica che non è stata esaudita, purtroppo!
Quanto all’anima di mia moglie Enrica, invece, averla accanto per sempre è l’unica consolazione che ho, l’unico modo che mi rimane per poterla vedere anche se non posso più stringerla a me.”
E dopo questo suo racconto doloroso e sofferto, prosegue dicendomi una cosa che mai mi sarei aspettata di ascoltare:
“Federica, vi ringrazio per avermi permesso di raccontare il peso che mi porto dietro anche se, a quanto pare, ormai è di dominio pubblico.
Prima di voi lo avevo fatto solo con la mia Enrica, che era riuscita ad amarmi ed accettarmi anche nonostante questo.
Non mi aveva lasciato, anzi, aveva scelto di continuare a starmi accanto aiutandomi a portare il dolore della mia dannazione e, di questo, le sarò grato per sempre.”
“Grazie a lei, commissario, per avermi fatto dono della sua immensa umanità, e spero di poterla incontrare ancora, un giorno.” Gli rispondo.
Torno in redazione con il cuore colmo di gratitudine e con la consapevolezza, ormai radicata, di svolgere il mestiere più bello del mondo.
Vedo anche tanta sofferenza nei fatti di cronaca, ma l’opportunità di poter incontrare l’altro, potergli parlare, mi arricchisce in un modo che mai avrei creduto e sperato possibile.
Il Commissario Ricciardi su Raiplay.