COMUNQUE VADA, LORO HANNO GIÀ VINTO…
Gli inglesi l’hanno presa malissimo: “eliminati da una nazione dove ci sono più vulcani che giocatori di calcio…”, e d’un colpo gli elogi e la simpatia verso la “squadretta” più a nord d’Europa sono cessati. Sì, perché è così che funziona: si è simpatici finché non vengono a romperti le uova nel paniere, e di sicuro nella Terra d’Albione la partita contro l’Islanda se la ricorderanno per un pezzo. Eppure in qualche maniera erano stati avvertiti: nell’anno delle “favole” calcistiche, proprio loro che hanno visto il Leicester di Ranieri vincere il titolo, la possibilità che il Davide venuto dal freddo avesse la meglio sul ricco e viziato Golia non era del tutto fuori luogo…
Ma se la “favola” del Leicester è stata in qualche modo un po’ romanzata e ingigantita (il proprietario della squadra è pur sempre un miliardario thailandese, uno degli uomini più ricchi del mondo) quella dell’Islanda è davvero una bella storia, che vale la pena di essere raccontata: stiamo parlando di un’isola in mezzo ai ghiacci del circolo polare, con una popolazione di appena 330mila abitanti (la metà dei quali dediti alla pesca o alla pastorizia) che fino a vent’anni fa non aveva neppure un campo di calcio agibile nella stagione invernale. Poi, ecco la svolta: il governo decide di investire sul pallone costruendo campi coperti, riscaldati, aprendo scuole calcio e iniziando i ragazzi al football. Ma non, come credete voi, per scopi propagandistici o chissà quale grandeur da raggiungere, bensì per un motivo molto più nobile: togliere dalla strada i giovani, che nei freddi mesi invernali non trovavano di meglio da fare che sbronzarsi nei pub o tracannare ettolitri di birra davanti alla tv.
Pare infatti che la capitale, Reykjavik, in pratica l’unica vera città dell’isola, sia una specie di Las Vegas del profondo nord: un’unica strada centrale, che la taglia in due, dove ci sono solo locali per bere e sballarsi a qualsiasi ora del giorno e della notte (che, da quelle parti, per via della latitudine, possono durare anche 24 ore su 24 a seconda della stagione!). Ma magari anche questa è una balla… in fin dei conti chi c’è mai stato davvero a Reykjavik? Non è mica come Parigi o Barcellona: l’Islanda è affascinante anche perché è misteriosa!
Impossibile, quindi, non affezionarsi di fronte a questa allegra brigata che ha saputo stupire l’Europa: dilettanti in cerca di gloria, ognuno con il suo personale bagaglio di esperienze da portare in giro… c’è l’allenatore che di mestiere fa il dentista e per rilassarsi spacca legna, il portiere che gira video musicali, il telecronista che urla, piange, impazzisce come il più focoso dei sudamericani. E c’è soprattutto il piccolo (ma solo numericamente) popolo islandese, che si è mobilitato in massa per questi Europei: un’incredibile statistica riporta che lo share televisivo di queste prime quattro partite è stato in media del 99,8% !! No, non è un errore: al netto dei 23mila tifosi che hanno seguito la squadra in Francia (circa il 7% della popolazione, altro record) pare che appena 600 persone in tutta l’isola non abbiano visto nemmeno un incontro della nazionale! Un popolo intero che segue la propria squadra o la vede in tv, assistendo ad episodi che faranno storia…
Proprio come nella partita contro il Portogallo, pareggiata 1-1 e pure con qualche recriminazione: si narra che dopo il fischio finale il capitano Aaron Gunnarson abbia chiesto per tre volte a un nervosissimo Cristiano Ronaldo di scambiare la maglia con lui, ma pare che la stella lusitana abbia sdegnosamente rifiutato. Poco male, per consolare il deluso Aaron i compagni di squadra hanno acquistato una maglia di CR7 e gliel’hanno regalata con tanto di firme, mettendo pure le foto su Instagram. Storie d’altri tempi, che raccontano un calcio migliore: comunque vada a finire contro la Francia, il suo Europeo l’Islanda l’ha già vinto.