Difficile definire “L’ultimo elfo”: sembra una favola per bambini, a base di elfi e draghi, ma è un fantasy avventuroso, si scopre poi essere anche una distopia, una storia d’amore, un “memento” di cose terribili accadute e altre altrettanto terribili che potrebbero accadere.
Non è un libro recente, pubblicato da Salani nel 2004 nella collana Gl’Istrici, pluripremiato anche all’estero ma non ne avevo mai sentito parlare.
Scritto da Silvana De Mari, è sapientemente illustrato da Gianni De Conno, che come per ogni fiaba che si rispetti lascia i personaggi parzialmente sfuocati o nell’ombra o in controluce o nelle nebbie della fantasia; ha una trama estremamente avvincente, dolce e tragica ma accompagnata da una continua tenera ironia, e un’alta qualità di scrittura.
È la storia di un elfo nato da poco, chiamato Yorsh (il suo nome completo è pressoché impronunciabile agli umani e viene sempre scambiato per uno starnuto), sfuggito alle inondazioni che hanno sterminato gli ultimi del suo popolo e raccolto da due vagabondi, Sajra e Monser, a cui si aggiunge il cane.
Già, il cane, a cui l’elfetto cercherà per tutto il tempo di trovare un nome adatto, che non sia troppo lungo e lo descriva in modo adeguato; quando infine troverà il nome, la reazione di Monser sarà esilarante: “Un cane si chiama Macchia, o Zampa, non…” Il nome non ve lo diciamo.
I tre disgraziati devono cercare di sfuggire alle guardie, perché qualsiasi atto fuori da quanto prescritto è passibile delle massime punizioni, in particolare non pagare le tasse e proteggere gli elfi; che sono stati accusati delle peggiori nefandezze e scacciati in appositi “luoghi da elfo”, costretti a vestirsi di canapa gialla, perseguitati, uccisi.
Non è una storia già sentita nella realtà?
Nel frattempo incombe, è il caso di dirlo, su di loro un’antica profezia, che parla dell’ultimo drago, di ripristinare l’ordine della Natura, e di una ragazzina con la luce del mattino nel nome.
I quattro squinternati effettivamente trovano il drago, un vecchissimo e ipocondriaco bestione che ormai non vola più (scopriremo perché) e sta acciambellato in una fantastica grotta-biblioteca dove si apre la bocca di un cratere…
Sarà dunque questo vapore la causa del mutamento climatico e delle devastanti inondazioni?
Allora perché l’elfo passato prima di loro ha lasciato aperto il cratere?
I poveretti sono sottoposti a continui colpi di scena, plurimi ribaltamenti delle loro convinzioni, in modo anche disperante.
Scopriamo a poco a poco qual è la vera magia degli elfi, che rende buoni perfino i troll; godiamo dell’esilarante parlata aulica del vecchio drago, dello sconcerto dei due umani per il linguaggio altrettanto bizzarro del piccolo elfo unito alle sue inaudite conoscenze (che cosa sarà mai l’inclinazione dell’asse terrestre???), al suo orrore davanti all’uso umano di mangiare “qualcosa che ha pensato”; tutto ciò incastonato in paesaggi a tratti idilliaci e a tratti angoscianti, o un misto delle due cose come la colorata città di Daligar che si rivela da vicino tutta irta di difese contro “l’altro”, il diverso.
Quando si chiude la storia de “L’ultimo elfo”, sembra che la Natura si stia ripristinando, Sajra e Monser col cane paiono avviati a una serena vita familiare in un villaggio dove regnano concordia e abbondanza (le due cose sono collegate), e Yorsh ormai al sicuro si è votato alla cura dell’ultimo drago.
Manca tuttavia la seconda parte del libro, quella intitolata appunto “L’ultimo drago”, e siamo solo a pagina 104, un terzo del totale.
La storia riprende dodici anni dopo, in una realtà tragica, vista in parte con gli occhi di una piccola orfana accolta (o rinchiusa?) in una struttura che ricorda i peggiori scenari di Dickens, fatti di fame e sfruttamento.
Un vero e proprio lager dove i bambini realmente abbandonati dai genitori, e quindi pieni di rabbia contro gli orfani dei giustiziati o esiliati, diventano i kapò della situazione… Agghiacciante, troppo vero.
Intanto Yorsh ha riordinato, restaurato e letto tutti i libri della biblioteca, migliaia e migliaia, finché trova l’ultimo, ammuffito e incompleto: l’unico trattato di dragologia ormai esistente, che gli apre gli occhi su qualcosa di sconvolgente che sta per succedere…
Lascerà il cratere, incontrerà la bimba, dovranno entrambi lottare contro la propria avversione verso qualcuno che è diverso da sé per aspetto, odore, abitudini, e scopriranno la loro vera missione, che è la ricerca della dignità e della libertà nella diversità.
È quindi con un grande sconcerto che leggo la biografia dell’autrice, classe 1953, medico e psicologo con idee complottiste, anti-Islam, anti-LGBT, contraria all’uguaglianza tra i sessi, ostile alle aperture di Papa Francesco ecc. ecc. sulla quale pendono anche procedimenti giudiziari e disciplinari.
Sembrano due persone diverse, il personaggio pubblico e la scrittrice di una storia così delicata e “progressista”.
Gianni De Conno, milanese (1957-2017) formatosi alla Scuola di Cinema come scenografo e creatore di storyboard, ha illustrato i testi più vari, dalle fiabe a Calvino, da Garcia Marquez a Salgari, da Garcia Lorca a Melville.
Pluripremiato in Italia e all’estero, ha esposto i suoi lavori in mostre personali e collettive in Italia, Svizzera, Francia, Germania, Giappone, Taiwan e Stati Uniti; avrà anche l’onore di una mostra dedicatagli nel 2010 a LuccaComics.
Saga de L’ultimo elfo (da Wikipedia)
(nota anche come Saga degli Ultimi)
- L’ultimo elfo, illustrazioni di Gianni De Conno, Salani, 2004.
- L’ultimo orco, Salani, 2005.
- Gli ultimi incantesimi, Salani, 2008.
- L’ultima profezia del mondo degli uomini, Fanucci, 2010.
- Io mi chiamo Yorsh, Fanucci, 2011. (Prequel de L’ultimo elfo)
- L’ultima profezia del mondo degli uomini. L’epilogo, Fanucci, 2012.
- Arduin il rinnegato, Ares, 2017. (Pre-prequel de L’ultimo elfo)
-
L’ultimo mago, Ares, 2020.