La scorsa primavera ho partecipato al corso “La via della bellezza – Annunciare Dio con arte”, con due interessanti lezioni presso il Centro Pastorale Card. Ferrari di Como incentrate sull’arte figurativa come strumento di catechesi. Ma è stato il laboratorio in Sant’Abbondio a essere rivelatore: da fedele e da guida turistica ho visto mille volte gli affreschi della nostra grande Basilica (cinque navate, due campanili, consacrata a fine XI sec. dal Papa Urbano II in viaggio per Clermont Ferrand…) e ho anche partecipato ad altri corsi e conferenze su di essi, ma questa volta li ho visti con occhi nuovi, scoprendo dettagli a cui non avevo mai fatto caso. Ciò grazie all’aiuto dei docenti e degli altri partecipanti, e dell’invito a chiederci quale di quelle immagini ci saremmo portati a casa e perché. Ma anche perché io sono diversa, dopo un lungo periodo in cui ho sentito il mio corpo violato dalla malattia e dai pur indispensabili interventi (chirurgie, esami diagnostici, terapie). Perfino minacciato nella sua essenza, però ho trovato persone fantastiche (religiose e non) che mi hanno aiutato a capire che la donna è tale non per un insieme di organi e ormoni ma per la sua capacità di amare e di creare bellezza.
Degli affreschi trecenteschi nell’abside di Sant’Abbondio con le storie di Cristo ho sempre amato la Crocifissione col suo mistero di sangue, quel giorno però mi ha incuriosito sulle prime la scena delle Tentazioni nel Deserto con quel diavoletto dal gesto arguto, un diavolo “loico” avrebbe detto Dante Alighieri, cioè bravo a disquisire… Poi ho notato tre scene molto simili “con l’asino” messe in diagonale con alberi e personaggi in posture analoghe (viaggio verso Betlemme, fuga in Egitto, ingresso in Gerusalemme)… Poi mi è parso di individuare nei quattro riquadri ai lati dell’importante finestrone centrale la rappresentazione dei quattro elementi naturali: il Battesimo nel Giordano potrebbe raffigurare l’Acqua, la Tentazione nel Deserto l’Aria (il demonio è chiamato principe degli spiriti dell’aria), l’Ingresso in Gerusalemme la Terra (i cittadini stendono a terra i loro mantelli e c’è un albero, e poi l’umiltà dell’asinello), il Tradimento di Giuda il Fuoco (l’arrivo nella notte con le fiaccole, gli armati…”Sono venuto a portare il fuoco sulla terra”…); magari è un arrampicarsi sugli specchi, però stimola la riflessione.
Ma al momento di decidere “quale immagine portarsi a casa” ho scelto le due che mai avrei immaginato, e oltretutto assieme, non disgiungibili, entrambe legate al mistero femminile.
Io sono una danzatrice. Faccio altro per guadagnarmi da vivere, ma questo è ciò che sono, è la mia identità. E nell’Annunciazione Maria “danza”. Mi spiego: ha le braccia incrociate sul petto con le palme rivolte verso l’alto, un gesto di accoglienza come qualcuno ha detto, ma non è una posa “naturale”, è un gesto stilizzato ed estremamente aggraziato (da “grazia”…) che si ritrova nella danza classica (ovviamente molti secoli dopo); e anche l’Angelo benché in ginocchio è in una posizione equivalente al Secondo Arabesque (la gamba più vicina a chi guarda va all’indietro, il corpo è aperto e visibile, ma il braccio “verso il pubblico” è incrociato davanti al busto). Ho notato altri dettagli, come i gigli: simboli della purezza di Maria, se spuntassero semplicemente da un prato potrebbero indicare una condizione solo “naturale” e transitoria, mentre in vaso sono “coltivati” e indicano la scelta deliberata di Maria.
E anche nella Visitazione, entrambe le donne “danzano”: è una posa bellissima, muovendosi all’incontro sono entrambe in Quarta Posizione Croisé Avanti (la gamba anteriore incrocia diagonalmente davanti all’altra: si capisce dal movimento degli abiti) ma speculari, con il braccio più arretrato che passa dietro la vita dell’altra, e il braccio verso i riguardanti che si incrocia col braccio dell’altra a sfiorarne il grembo. E’ la rappresentazione delicatissima di due maternità prodigiose. Elisabetta esce di casa e Maria giunge dal deserto, una raffigurazione se vogliamo “naturalistica”, ma gli ambienti potrebbero anche alludere alla loro condizione: la casa chiusa di Elisabetta è la castità coniugale, Maria come il deserto è terreno “non coltivato”, non irrigato se non dallo Spirito, e prodigiosamente fiorisce.
Mi è tornato in mente un passo del protovangelo di Giacomo che vidi su un pannello all’Istituto della Presentazione, in occasione del passaggio a Como delle reliquie di Santa Bernadette due anni fa (un momento in cui ebbi netta la premonizione della mia malattia): la bambina Maria quando venne portata al Tempio dai genitori e lì accolta, “danzò con i suoi piedi” e tutti restarono ammirati dalla sua grazia. Maria è colei che ha maggiormente glorificato il corpo dell’essere umano, e la danza, il gesto come il canto fa parte del suo, del nostro rendimento di grazie. Ecco, il suo, il nostro Magnificat.
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