Dopo il successo, alcuni rappresentanti del mondo dello spettacolo hanno la necessità di prendere le distanze da ciò che li ha resi celebri, facendoli sentire schiavi di un ruolo ormai stretto e soffocante.
Nella musica, nessuno perdonerà a John Lennon di aver lasciato i The Beatles (Joko Ono permettendo), come Robbie Williams fece poi con i Take That e Geri Halliwell con le Spice Girls. Nel cinema, ci sono voluti ben centocinquanta milioni di dollari per convincere Daniel Craig a impersonare James Bond per l’ultima volta, mentre è andata diversamente per Robert Pattinson e Kristen Steward, apertamente contrari al ritorno dei loro Edward e Bella Cullen. Più traumatico, ma solo per la grande popolarità delle serie tv moderne, è stato l’abbandono di George Clooney a ‘ER – Medici in Prima linea’ e di Patrick Dempsey a ‘Grey’s Anatomy’: entrambi fanno compagnia all’eccessivo Charlie Sheen di ‘Due uomini e mezzo’ e all’indimenticata e indimenticabile Shannen Doerthy di ‘Beverly Hills’ e ‘Streghe’.
Molti volevano crescere, come Pattinson che si è dato al cinema impegnato e Williams alla carriera solista; alcuni volevano evolversi, come Clooney e la regia; altri erano ormai in disaccordo con colleghi e collaboratori, come Sheen con il network e la Doherty con Jenny Garth e Alyssa Milano.
Tutti hanno in comune la chiara volontà di fare altro, di togliersi di dosso la seconda pelle che il pubblico ha cucito su di loro. Agli occhi dello spettatore, il personaggio ormai celebre stona in qualsiasi altro ruolo, tanto da relegarlo nell’angolo del proprio cuore che vive di soli ricordi.
Anna Mazzamauro, straordinaria attrice oggi di teatro, donna intelligente e a mio avviso bellissima, ha affrontato il tema in una delle sue recenti interviste reperibili su Youtube Italia. “In Italia, quando un attore esce con un personaggio lo vorrebbe a vita in quei panni, ma io ho sempre lottato contro il cliché all’italiana”.
L’insofferenza della Mazzamauro, mitigata dal rispetto per lo spettatore più romantico, si è opposta al sentimento di molti suoi colleghi, che hanno riproposto (forse con piacere, forse con nostalgia) i vecchi personaggi per un’intera vita sul palcoscenico. Un esempio lampante e vicino alla stessa attrice è quello di Paolo Villaggio.
Colto, intelligente e poliedrico rappresentante dell’arte di fare spettacolo, Villaggio era un uomo complicato, difficile e ruvido, ma era proprio questo a renderlo speciale. In fondo, senza la perspicacia e il cinismo del suo carattere, non sarebbe mai riuscito a creare la maschera tragicomica più moderna, veritiera e critica del panorama artistico italiano, cinematografico e letterario, dello scorso secolo.
Paolo Villaggio non si è mai stancato di interpretare Ugo Fantozzi, nemmeno nel momento in cui la sua straordinaria intelligenza, la straziante vena drammatica e la spigolosa personalità dell’uomo venivano ingiustamente offuscate dalla figura balbettante, timorosa, ingenua e onesta del ragioniere più amato d’Italia. Oltre Fantozzi, Villaggio era molto altro, ma per amore del pubblico, o forse per amore del proprio lavoro, non è mai sembrato stanco di fare Ugo.
Magari, in Italia si è più emotivi che all’estero o forse, Paolo Villaggio non aveva smesso ancora di raccontarci chi siamo.
Ugo Fantozzi non è solo una maschera degna del più operoso Goldoni, ma è anche la più vera interpretazione dell’intima italianità dell’italiano medio. Italiano medio che, all’epoca, non era il disinteressato analfabeta arrogante che oggi si indigna per qualsiasi cosa e poi non scende mai in piazza: forse, siamo i nipoti peggiori che Ugo Fantozzi potesse avere.
Paolo Villaggio inventò Fantozzi durante l’esperienza lavorativa alla ‘Italsider’, conosciuta oggi come ‘Ilva’. L’artista genovese trovò spunto da un collega per il suo personaggio più famoso e grazie alla vicinanza e alle idee del regista Luciano Salce, gli impiegati della ‘Italsider’ si trasformarono nei personaggi di fantasia di Ugo Fantozzi (ragioniere) e Renzo Filini (geometra, rielaborato dalle forme di Giandomenico Fracchia). Il primo, protagonista impacciato e frustrato, vittima sfortunata delle circostanze e il secondo, spalla cinica e imparziale il cui unico motivo d’esistere sembra essere l’organizzazione di eventi dal senso del tutto discutibile. Le avventure di Fantozzi diventarono un libro (anzi due) da più di un milione di copie e trattandosi del 1971, il risultato fu considerato più che un successo.
Villaggio portò il suo ragioniere negli sketch di ‘Quelli della domenica’ e fece conoscere al grande pubblico l’iperbole vivente che era Ugo Fantozzi: le disavventure giornaliere diventavano piccoli drammi personali, il rispetto per i superiori si trasformava in una specie di prostrata devozione e intima ammirazione, smania, desiderio; lo status impiegatizio diveniva marchio indelebile di sottomissione, mediocrità e indifferenza sociale.
L’incontro con Salce fu del tutto illuminante. Il regista aiutò Villaggio a espandere l’universo di Fantozzi, affinandolo e mettendo l’autore in condizione di dare vita a tutte le caricature che poi andarono a completare l’habitat naturale del ragioniere più amato d’Italia. Proprio con Salce, Paolo Villaggio mette in scena il primo film dedicato alla sua creatura, ‘Fantozzi’ (1975), ed è con quest’opera che l’artista genovese compie la definitiva caratterizzazione dell’italiano medio: i suoi personaggi, o meglio le sue maschere, interagiscono in un ambiente da commedia tragica e descrivono con precisione maniacale e quasi inquietante il cittadino dell’epoca (e forse, ancora di oggi).
Secondo un’interpretazione più spartana e fruibile, Pina e Mariangela Fantozzi (rispettivamente, moglie e figlia del ragionier Ugo) rappresentano ‘ciò che è rimasto disponibile’, ‘ciò di cui ci si è dovuti accontentare’. Il matrimonio dei Fantozzi non è mai stato caratterizzato da particolari slanci amorosi, da entrambe le parti (la stima di Pina e l’amore per la Silvani di Ugo), ma i due continuano a stare insieme, imperterriti, come se consci della loro mediocrità e della loro aspirazione impossibile di arrivare ad altro. Mariangela è il lascito di Ugo al mondo: dipinta come un mostro orribile, addirittura simile a una scimmia, rappresenta sia il fallimento di Fantozzi come generatore di prole che prospettiva futura assai deludente e vergognosa. Ovviamente, molte dinamiche cambiano o trovano delle eccezioni con il tempo: ad esempio, la Pina di Liù Bosisio è remissiva e innamorata, mentre quella di Milena Vukotic è più frustrata, ribelle e distante (cosa poi leggermente rivista negli ultimi capitoli della serie).
La signorina Silvani, interpretata magistralmente da Anna Mazzamauro, è una delle caricature più complete e allo stesso tempo tragiche e contrastanti dell’universo fantozziano. Ricordandone la scarsa avvenenza (sua visione personale), Luciano Salce voleva la Mazzamauro nel ruolo di Pina, ma i modi eccentrici e la forte personalità dell’attrice convinsero Villaggio ad affidarle uno dei ruoli più belli della saga. La signorina Silvani rappresenta l’amore impossibile, quel salto di qualità che l’italiano medio crede di poter sognare, senza poi sentirsi troppo distante dalla realtà: infatti, Fantozzi non desidera la donna inarrivabile, ma la collega non bella per lui stupenda. Lontana ma non lontanissima, vicina ma non disponibile. In verità, la signorina Silvani vive in un grande bluff e offre una visione migliorata di sé: contrastando con la prima versione del personaggio, libera e giovane, la segretaria della Megaditta si rivela nel tempo una donna sola, insicura, vittima dei propri vizi e piena di rimpianti. In ‘Fantozzi in Paradiso’ (1993), la signorina Silvani si finge incinta di Fantozzi per estorcere del denaro all’ex collega: al momento della rivelazione, giunta sempre in modo cinico e cafone, Fantozzi reagisce con scoramento (come suo solito) e genera nella Silvani forse il più forte senso di colpa mai provato.
I geometri Calboni e Filini sono due personaggi assai differenti, ma entrambi sanno sorreggere l’ingombrante iperbole vivente rappresentata da Villaggio. Il primo descrive il classico italiano medio devoto al vanto, colui che non riesce ad accettare di essere nel torto o in una condizione di sfavore, il vincente in apparenza e il bugiardo cronico che la spara così grossa da sembrare credibile. Calboni (impersonato da Giuseppe Anatrelli, poi venuto a mancare, e da Riccardo Garrone) interpreta il mediocre che non accetta di essere tale, quello per cui lo spirito e l’apparenza vengono sempre prima della sostanza: in parole povere, il primo tra gli ultimi e l’ultimo tra i primi. Il geometra Calboni, o ciò che egli vuole far vedere, è tutto quello che Fantozzi vorrebbe essere: ne ‘Il secondo tragico Fantozzi’ (1980), il ragioniere si trova a dover consolare la Silvani a causa dei ripetuti tradimenti di Calboni, ma ne esce ugualmente sconfitto, proprio perché non abbastanza brillante, carismatico e affascinante al pari del geometra di Anatrelli.
Filini (interpretato da Gigi Reder) rappresenta la spalla ideale di Fantozzi, quella che vive la stessa quotidianità, le stesse angherie e la stessa condizione di mediocrità. A differenza di Calboni e della Silvani, con cui Fantozzi interagisce quasi da sottoposto, Filini è l’unico vero compagno di avventure, il parigrado che però non sembra essere destinatario alla sorte tragica del protagonista della storia.
Infine, come ultima maschera dell’universo creato da Paolo Villaggio, c’è il Mega Direttore Galattico. Tale ruolo è stato interpretato da molti attori nel corso degli anni, ma si può presumere che la figura del ricco imprenditore onnipresente non sia l’unica espressione del regnante di successo che Villaggio voleva far trapelare. Insomma, il Megapresidente Gran. Farbut. Figl. di Putt. Ladr. Di Gr. Croc. non è solo il Duca Conte Giovanni Maria Balabam, ma anche ogni vero italiano di successo che si erge al di là della scrivania in mogano e che siede sulla poltrona in pelle umana. Parliamo dell’Onorevole Cavaliere Conte Diego Catellani, della Contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare, del Duca Conte Semenzara, del professor Guidobaldo Maria Riccardelli, del dietologo tedesco professor Birkermaier, del Visconte Cobram, del Marchese Conte Barambani, del direttore Lobbiam, di Franchino, del professor Zambrini Loredan, del ragionier Fonelli, del cane San Bernardo Fido, del Duca Conte Dottor Matteo Maria Barambani, dell’angelo Massimo D’Alema e dell’angelo Silvio Berlusconi: tutti superiori a Fantozzi, anche fuori dalla Mega Ditta.
Insomma, Ugo Fantozzi ci ha interpretati e descritti per anni e noi, sorridendo e citando Fantozzi ci siamo dimostrati per l’ennesima volta l’italiano medio che Paolo Villaggio aveva intenzione di mostrare: un uomo piccolo e timoroso, che per ogni ribellione è pronto a pagare pegno e che restando fedele (e indifferente) non fa altro che alimentare una società corrotta, classista e ingiusta.
Sapendoci ancora così, come poteva Villaggio abbandonarci?