Titolo: La masseria delle allodole
Regista: Fratelli Taviani
Durata: 122 minuti
Anno: 2007
Genere: Drammatico.
Cast: Paz Vega, Moritz Bleibtreu, Alessandro Preziosi, Angela Molina, Arsinée Khanjian, Mohammed Bakri, Tchéky Karyo, André Dussollier.
Ieri sera dopo il cineforum ho fatto una cosa che non faccio mai ovvero ho letto diverse recensioni de La masseria delle allodole (tratto dall’omonimo romanzo di Antonia Arslan che ha curato anche la sceneggiatura del film) per capire cosa ne pensava la gente e sono rimasta un po’ sconcertata da alcuni pareri, ma come si dice il mondo è bello perché è vario.
La masseria delle allodole non è un film perfetto, non è un capolavoro, ma non è un film da buttare.
Non per me almeno.
E’ un’opera abbastanza dignitosa considerando la tematica davvero forte che tocca: il genocidio, sottolineo genocidio, armeno, ancora impunito.
Ci sono degli evidenti difetti che però non inficiano il valore del film.
Iniziamo da quelli così ci leviamo il pensiero.
Primo: il doppiaggio appiattisce parecchio, non so se esiste una versione in lingua originale, visto che il cast è internazionale, ma di sicuro il doppiaggio non aiuta molto. E fa davvero l’effetto fiction.
Secondo: del personaggio di Preziosi si poteva anche fare a meno. Niente contro di lui: ma non capisco l’utilità nel percorso di Nunik, non toglie non aggiunge nulla.
Terzo: la cosa più grave in assoluto. I bambini sono dipinti malissimo, sia dal punto di vista fisico che psicologico. Sono gli unici, infatti, a non avvertire nessun cambiamento durante la terribile marcia della morte: gli altri dimagriscono, loro sono uguali e per di più anche egoisti. Osceno quando aggrediscono Nunik che poche ore prima si è privata del cibo reperito per darlo a loro. E ridicolo quando una dei tre bimbi perde il giochino durante la fuga e si mette ad urlare. Ora neanche a me piacciono i bimbi perfetti, però qui siamo all’eccesso opposto: questi qui vivono in mondo loro, sembrano non accorgersi di quello che sta succedendo e il che è assurdo. Dopo settimane di marcia dovrebbero aver capito cos’è accaduto (non sono bimbi in fasce, sono pre adolescenti!) e non comportarsi come dei bimbetti viziati, che vivono sotto una campana di vetro.
Spero di non apparire severa perché il film mi è piaciuto e mi ha commosso.
Il genocidio armeno è raccontato con realismo e con tatto, evitandoci scene splatter, come a voler salvaguardare la dignità di queste persone private di tutto.
L’arrivo alla masseria dell’esercito turco e la conseguente strage è un pugno allo stomaco.
Tutto si svolge in pochi minuti.
Pochi minuti strazianti e angoscianti dove ogni maschio, compresi i bambini, vengono uccisi.
Le donne verranno poi deportate in un lunga ed estanuante marcia della morte fino ad Aleppo e poi oltre, senza nessuna pietà di loro, considerate bestie da macello, da umiliare, stuprare e distruggere.
C’è qualcuno che si è lamentato del fatto che il film non mostri le motivazioni di questo macello.
Spiegatemi quale tipo di motivazione potrebbe assolvere questi esseri.
Spiegatemelo.
Man mano che la marcia procede chi spicca sempre di più è Nunik (molto brava Paz Vega), colei che tiene in piedi ciò che resta della famiglia Avakian, vegliando su tutto e tutti, arrivando a rifiutare di diventare una serva dei nuovi padroni.
In questa desolazione colpisce il rapporto sincero e profondo che la lega al soldato Youssuf (Moritz Bleibtreu, anche lui assai convincente), un vero soldato, un vero uomo, che era partito per la guerra pieno di ideali e si è ritrovato a dover deportare degli innocenti.
Nauseato e schifato dai suoi stessi compagni comprende il dramma di Nunik, anche se sono di etnie e religioni diverse.
I registi sono bravi a mostarci il loro rapporto. E’ un lungo dialogo tra due persone smarrite ed avvilite, che si rispettano, rispettano la persona umana e credono nei valori.
Youssuf avrà un solo momento in cui si comporterà male con Nunik, quando la schiaffeggia perché lei sta per andarsene, grazie agli aiuti della congrega dei mendicanti musulmani.
Ma è solo un attimo, si capisce che non era vera cattiveria e fino alla fine quest’uomo dimostrerà di avere rispetto di lei, arrivando a mantenere la promessa terribile che le ha fatto: la ucciderà pur di evitarle le torture dei suoi compagni. E poi, da uomo dignitoso, denuncerà se e l’intero esercito turco.
Youssuf, come la congrega dei medicanti, è musulmano appunto. L’Islam non ne esce affatto sconfitto da questo film, anzi ci viene mostrata la sua parte migliore, quella più sincera, in primis proprio per la congrega di cui fa parte Nadim, amico di famiglia di Nunik e loro debitore, (oltre che per il soldato), congrega che rifiuta di allearsi e appoggiare la barbarie dell’esercito turco e farà quello che può per salvare ciò che resta della famiglia di Nunik.
Molto evocativi i canti armeni, così come i loro balli.
Un affresco dolente, ma dignitoso e necessario per una tragedia ancora impunita.