Capita più o meno sempre così: trovate un bel libro, che v’incuriosisce nel suo insieme, lo sfogliate un po’ per convincervi a comprarlo e poi non resistete dal leggere le prime pagine mentre siete in fila alla cassa. Se vi piace proprio tanto finisce che ve lo portate ovunque e riuscite a ritagliarvi il vostro angolino di lettura anche se siete su un mezzo pubblico affollato come una scatoletta di sardine.
Ecco, con il romanzo La memoria del futuro è andata più o meno in questo modo, salvo un piccolo particolare: quello di conoscere personalmente le autrici – Silvia Azzaroli e Simona Ingrassia – e di reputarle non solo brave scrittrici, ma anche grandi amiche. Tuttavia, lo ammetto pubblicamente, è qui che sale l’ansia, perché c’è la profonda consapevolezza che questo libro di oltre quattrocento pagine non è solo una storia, un insieme di personaggi e luoghi, una morale tra le pieghe degli avvenimenti, ma è stato prima di tutto un sogno personale, portato avanti con le unghie e con i denti.
Vi lascio immaginare, quindi, il timore reverenziale che mi pervade mentre mi accingo a scrivere questa recensione: per il massimo rispetto per voi che leggete, sia per le autrici del libro, mi è infatti necessario bilanciare l’affetto con le doverose oggettività e professionalità.
Punto primo: finalmente un romanzo sci-fi ambientato in un futuro non distopico.
Se pensiamo all’anno 2707 è facile imbarcarci in una serie di stereotipi o in voli di fantasia al limite del surrealismo: ebbene, qui non è così. Sebbene molti siano gli occhiolini ad alcune celeberrime opere di fantascienza – Terminator, Blade Runner, la serie tv Fringe, con in aggiunta una bella spruzzata di Star Wars – le autrici hanno saputo raccontarci una realtà più avanzata tecnologicamente ma al tempo stesso estremamente verosimile, sia come ambientazioni, che come gestione dei personaggi e dei rapporti umani che li contraddistinguono. Dalle università alle discoteche, dalle case di ricerca farmaceutiche a zone di periferia non proprio raccomandabili: si potrebbe dire, senza timore di sbagliare, che sono stati esplorati tutti i tipi di scenari.
(Le autrici, Silvia Azzaroli e Simona Ingrassia, durante una presentazione de La memoria del futuro, presso il locale Mangiaparole di Roma)
Punto secondo, i personaggi. Niente macchiette, niente tòpos letterari con le profondità di una sottiletta. Ogni comparsa sulla scena, dai tre protagonisti – Curtis, Dalia e Jason – agli altri comprimari, possiede un vissuto, delle caratteristiche che le sono proprie, delle sfaccettature uniche. Ci si accorge ben presto, quindi, di essere di fronte ad un vero e proprio romanzo corale, in cui ognuno è utile, ognuno ha un suo ruolo per far sì che la storia si evolva passo dopo passo.
Ultimo punto: il titolo. Una genialata a cui plaudo senza ritegno.
La memoria del futuro non è un semplice gioco di parole, ma uno dei punti chiave del romanzo, un puzzle in cui gli indizi vengono dati al lettore poco alla volta, con sapiente centellinare, in cui passato e presente s’incontrano e si rincorrono.
Il genere sci-fi è solo la punta dell’iceberg, sotto la superficie infatti si parla di viaggi nel tempo, di antiche civiltà precolombiane, di profezie da scoprire, interpretare e realizzare. Sotto la superficie ci sono vicende di uomini e donne con le loro aspettative e speranze, che prendono il coraggio a due mani per affrontare non solo gli avvenimenti che li travolgono, ma soprattutto le paure più varie, da quella dell’ignoto a quella della parte più oscura di se stessi.
Man mano che ci addentriamo nella lettura ci affezioniamo sempre di più a Dalia Robbins, molto più che una semplice ricercatrice e a colui che è il fulcro della storia: Curtis Chapman, con un difficile passato alle spalle ed ancor più oneroso futuro davanti a sé. Ma non aspettatevi nessuna “ship” calata dall’alto o romanticume infarcito di stereotipi: l’evoluzione dei due personaggi ha una sua maturazione e delle motivazioni che verranno svelate poco alla volta, ed il lettore viene costantemente stuzzicato ad elaborare teorie ed ipotesi, a rimuginare sugli eventi nel tentativo di azzeccare tutte le tessere del puzzle prima che vengano svelate dalle autrici. Una menzione d’onore al mio personaggio preferito, Jason Mitchell, dotato di un sense of humor che non vi lascerà indifferenti, e che sarà un ingranaggio necessario per completare il trio e le vicende.
Infine, la morale. Che sarebbe meglio declinare al plurale, perché di insegnamenti, in merito ai rapporti umani, al rispetto della natura, all’apporto benefico delle scienze e delle tecnologie, alle tappe dell’evoluzione umana, il romanzo ne è pieno.
E così, a lettura terminata, si ha la sensazione di aver ricevuto qualcosa in cambio, di esserne usciti arricchiti e, speriamo, anche migliorati.