LE TOMBE DIMENTICATE DEI GRANDI DELLA DANZA SUL LARIO 1
Non è una novità per nessuno che il Lago di Como e i suoi dintorni siano stati nei secoli scorsi “buen retiro” per numerosi artisti, anche di chiara fama: si citano soprattutto letterati e musicisti, di ogni nazionalità, mentre non mi risulta sia mai stata evidenziata la presenza di famosi ballerini, coreografi e trattatisti coreutici, che vissero qui e magari dalle nostre sponde passarono a miglior vita… In alcuni casi vi furono anche sepolti.
Questa piccola ricerca sulle dimore (da vivi) e sulle tombe dimenticate di tanti “grandi” della danza di fine ‘800 e inizio ‘900 vuol essere un punto di partenza per la raccolta di informazioni più complete, e ringrazio fin d’ora chi vorrà collaborare. Dovrei da una parte circoscrivere il campo, limitando il discorso attorno ai tre punti focali “tombe dimenticate-danza-territorio comasco”, d’altra parte alcuni personaggi e situazioni meritano una citazione pur non rientrando perfettamente in quest’insieme.
Ad esempio esiste una tomba “comasca” di un grandissimo della danza, che non è ancora dimenticata e non si trova sul nostro territorio: il bellissimo monumento funebre ispirato ai tappeti caucasici realizzato dallo scenografo comasco Ezio Frigerio per Rudolf Nureyev, nel cimitero russo di Sainte-Geneviève-des-Bois presso Parigi.
E c’è una tomba indimenticata perché troppo recente, del secolo attuale: quella del ballerino e coreografo Umberto Bergna (1964-2002), nativo di San Fedele Intelvi, che molti a Como ricordano anche come insegnante: dopo aver mosso i primi passi con la maestra Lucia Cecchini Galloni si fece onore all’Accademia del Teatro alla Scala dove ancora studente mostrò il suo talento per la coreografia; tra i suoi lavori messi in scena nel massimo teatro milanese anche una “Manon” e l’etereo “Giochi Celesti” che sembra quasi preannunciare il suo andare troppo giovane a danzare in Paradiso. Sua anche la coreografia di una “Sinfonia degli Anelli” ispirata alla saga The Lord of the Rings. Già noto a livello internazionale, avrebbe di sicuro raggiunto una fama ancor più vasta se ne avesse avuto il tempo.
COSA NARRANO I MANUALI DEL TURISTA?
Normalmente nelle pubblicazioni ad uso dei turisti vengono citati alcuni personaggi legati al mondo della danza, in verità pochi; le notizie su di essi sono le stesse con cui vengono “indottrinate” le aspiranti guide turistiche, e sono in parte da verificare.
Ad esempio si dice fosse una ballerina la Giuditta Turina Cantù (Giuditta Luigia Maria Teresa, nata a Milano il 13 febbraio 1803 e deceduta a Milano 1 dicembre 1871), che tra Villa Passalacqua e Villa Salterio di Moltrasio (l’attuale Villa Hocevar) oltre che a Villa Turina di Casalbuttano intrattenne uno scandaloso ménage-à-trois col marito, il ricco imprenditore Ferdinando Turina che aveva sposato appena adolescente, e il celebre compositore Vincenzo Bellini; quando poi la cosa fu troppo risaputa, allo sposo tradito non restò che il divorzio. Definita bella, colta e sensibile alle arti, non è tuttavia dimostrato che la milanese Giuditta fosse una danzatrice professionista: o quantomeno, nelle storie del balletto non si fa parola di lei, che invece ha lasciato decise tracce nelle cronache pettegole per le altre sue virtù.
Fu invece una delle ballerine più note della sua epoca, pur non lasciando un’impronta nella storia della danza, la “cernobbiese” Vittoria Peluso, detta “la Pelusina”, nata probabilmente a Palermo (c’è chi dice a Napoli) nel 1766: debuttò nel 1775 a Venezia in occasione del Carnevale, a soli 9 anni, per esibirsi poi a Madrid, Firenze, Bologna, Padova, in genere in coppia con la sorella Rosa; ricopriva il ruolo di prima ballerina seria mentre la sorella aveva quello di “ballerina grottesca” (cioè “di carattere”, probabilmente). Le due ragazzine, evidentemente sfruttate come attrazioni, nel 1779 furono protagoniste addirittura dello spettacolo d’inaugurazione del Teatro della Cannobiana di Milano alla presenza del vicerè austriaco Ferdinando d’Asburgo e della consorte Maria Beatrice d’Este. Appena sedicenne Vittoria concluse in bellezza la sua carriera artistica al Teatro alla Scala con la compagnia di Gasparo Angiolini, non un coreografo qualsiasi bensì uno dei grandi riformatori del balletto.
Nel 1783 sposò il marchese Bartolomeo Calderara, uno degli sponsor del teatro, molto ricco e molto più anziano di lei. Si dice fosse stato legato a Teresa, la prima moglie di Cesare Beccaria. Il poeta Giuseppe Parini dedicò addirittura un sonetto agli sposi. Patriota, impegnato in politica, Calderara era proprietario di varie tenute e palazzi, tra cui Villa Camilla di Domaso (venduta dalla vedova nel 1837) e Villa del Garrovo a Cernobbio, ora Villa d’Este. A lui e a Vittoria si deve il restauro della villa e del giardino con la costruzione del “Viale dell’Ercole”; ambitissimi dall’aristocrazia gli inviti alla villa, tuttavia Vittoria venne sempre disprezzata come un’arrampicatrice sociale.
Calderara morì nel 1806 forse per le complicanze di una ferita ricevuta in duello… sembra che già allora Vittoria avesse una storia col generale napoleonico Domenico Pino, affascinante e pieno di debiti. Appena trascorso un “decente” periodo di lutto i due si sposarono nel 1808 e per onorare le imprese guerresche del marito Vittoria fece costruire nel giardino dei piccoli castelli che riproducevano le fortezze spagnole da lui conquistate, ancor oggi visibili. Si narra anche che il Pino portasse i cadetti dell’accademia militare a combattere finte battaglie navali davanti alla villa… e che la moglie lo aspettasse in camera in camicia da notte per offrirsi quale “preda del vincitore”.
A Vittoria si deve anche la decorazione della cosiddetta Sala Napoleonica, tuttora conservata dal Grand Hotel, con tappezzeria in seta gialla e broccati con impressa la lettera “N”, appositamente per Napoleone Bonaparte che tuttavia non onorò mai la promessa di far visita ai coniugi Pino.
Villa del Garrovo fu venduta nel 1814 alla principessa del Galles Carolina di Brunswick, ma solo per farle piacere date le sue molte insistenze, come fece scrivere nell’atto di vendita Alessandro Volta, rappresentante di Vittoria alla firma dell’atto. I coniugi Pino acquistarono dal parroco di Cernobbio gli edifici dell’ex convento cluniacense trasformandoli in Villa Nuova (che rientrerà poi nel complesso di Villa Erba, già dimora di Luchino Visconti e ora centro congressuale).
Vittoria morì in un altro dei palazzi ereditati dal primo marito il 7 aprile 1828 e fu sepolta nel cimitero di Turano Lodigiano. Sul Lario abbiamo quindi tre sue celebri dimore, ma non la tomba.
g.fo.
Domenico Pino dovrebbe avere una tomba nel cimitero di Como