Le vite degli altri
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Nei giorni scorsi si è celebrato il trentennale della caduta del Muro di Berlino, un evento storico indimenticabile, che ha cambiato non solo la geografia del mondo ma anche e soprattutto la vita di tante persone.
Ce lo ricordiamo in tanti quel 9 novembre 1989.
Fu un giorno molto particolare, il muro cadeva e con esso cadeva il regime comunista, dando speranza ad una nazione, distrutta anche moralmente da una guerra stupida e terrificante, che essa stessa aveva scatenato.
Berlino è una città singolare, lo è sempre stata. Cineasti, poeti, artisti sono rimasti ammaliati dal suo fascino insolito. Una città vecchia e nuova che, pare davvero, come raccontava Wim Wenders ne “Il Cielo Sopra Berlino” (mille volte grazie alla mia cara amica Simona per avermi fatto scoprire il cinema di questo grande regista), il rifugio degli angeli venuti ad osservare l’umanità.
E un altro regista, nel 2006, decide di lanciare il suo sguardo indagatore e sognante su Berlino con “Le vite degli altri”, premiato con l’Oscar come miglior film straniero nel 2007.
Florian Henckel von Donnersmarck, che attraverso gli occhi di Gerd Wiesler/HGW XX/7, un agente della Stasi(Ulrich Mühe, sensazionale, il suo sguardo trapana l’anima), il servizio segreto della Germania dell’Est (quella sotto il regime comunista), segue le tracce di una coppia di artisti, un regista, Georg Dreyman (Sebastian Koch, anche lui meraviglioso) e un’attrice, Christa-Maria Sieland (Martina Gedeck, dolente e intensa da straziare il cuore), finendo per innamorarsi della loro vita e diventando il loro protettore.
E’ intrigante come il regista tedesco decida di mostrare un periodo così tetro per la sua nazione attraverso un punto di vista così inconsueto, lo stesso Von Donnersmarck si è interrogato a lungo sul fatto se una storia così avrebbe potuto essere possibile.
Io voglio credere di sì.
Credo sarebbe stato molto ingiusto e banale raccontare di un agente ligio al dovere, fino alla crudeltà e oltre, raccontare il male è molto facile, se si vuole.
Lo si vede nelle parole del superiore di Wiesler, Hempf, che si vanta di aver fatto smettere di scrivere diversi scrittori, dopo la cattura, felice di aver distrutto la loro anima.
Terribile, atroce.
La caduta del muro segna la fine di un orrore ma lasciò, non solo a livello fisico, diverse macerie.
Molte persone avevano creduto in quel regime. Vedere cadere il proprio mondo, vederlo sgretolarsi, anno dopo anno, di fronte alle ingiustizie di uno stato che aveva parlato di altro non può che farmi pensare di nuovo a Bisanzio di Guccini. Filemazio vede il suo mondo crollare, tutto cambierà, la sua città non sarà più la stessa, ciò in cui credeva ha perduto di valore, come per molte persone legate alla Germania dell’Est, come lo stesso Wiesler, che comprende l’orrore del suo regime e la forza e la vitalità di chi ha il coraggio di opporsi, attraverso l’arte.
La potenza della parola è raccontata in maniera sublime ne Le vite degli altri, la potenza dell’arte che può cambiare le nostre vite, portandoci a interrogarsi su tutto e sul valore di ogni singola vita umana.
Wiesler rischia tutto per degli sconosciuti, sa cosa gli accadrà quando lo scopriranno, perché sa che lo scopriranno tuttavia compie una scelta coraggiosa e audace, non in nome di un astratto bene superiore ma dell’umanità più autentica e vera. Perché cos’è un ideale se mancano il rispetto e l’empatia per il nostri simili? Wiesler lo comprende fino in fondo in una delle strazianti scene verso la fine, quando assiste con i suoi occhi ad un suicidio per rimorso. Curioso come anche per Dreyman sia stato il suicidio di un suo amico a spingerlo verso la rivolta attraverso la parola, con una piccola macchina da scrivere.
Perché le parole possono essere pietre. Lo sa bene il regime.
E la potenza della parola è inarrestabile, lo sa bene Wenders che in “Fino alla fine del mondo” fa guarire la sua estraniata protagonista (la splendida e compianta Solveig Dommartin, già protagonista, a fianco dello straordinario Bruno Ganz, ne “Il cielo sopra Berlino”, scomparso pochi mesi fa), attraverso essa.
L’umanità è fatta di cambiamenti, di arte, poesia, orrori, sogni, omicidi e rinascite.
“Città assurda.
Città strana di questo imperatore sposo di puttana di plebi smisurate, labirinti ed empietà;
di barban che forse sanno già la verità
di filosofi e di etere sospesa tra due mondi e tra due ere.
Fortuna e età
han deciso per un giorno non lontano
o il Fato chiederebbe che scegliesse la
mia mano.” cantava Guccini.
Valeva per Bisanzio ma valeva anche per la Berlino mentre cadeva il muro perché mentre le speranze e i sogni volavano alti, vi era anche la paura del domani perché si sapeva che tutto sarebbe stato diverso e non vi era più quello stato/regime, a cui ci si era attaccati sia per avere un lavoro, sia per combattere certi orrori.
Perché ricostruire un paese dopo una vittoria non è mai facile e a volte si arriva persino a rimpiangere il periodo in cui “era facile distinguere i buoni dai cattivi” dirà Hempf, l’ex capo di Wiesler, nel finale, svelando a Dreyman che era sempre stato spiato.
La verità, tuttavia, è sempre più complessa e lo capisce, ancora una volta di più Dreyman, andando a cercare chi lo aveva spiato, scoprendo un eroe insospettabile.
Perché se fare il male è facile, essere buoni non lo è, si riesce a farlo quando si entra in empatia con altri.
Mi viene da pensare ad una grande filosofa tedesca, Edith Stein:
“Spiritualità personale significa vigilanza e apertura. Non solo io sono, non solo vivo, ma sono consapevole del mio essere e del mio vivere. E tutto in un unico atto.“
Edith Stein, colei che scrisse la sua tesi sull’empatia, spiegando che per essere empatici bisogna conoscere a fondo, senza giudizi, ciò che ci circonda.
Wiesler questo fa, abbatte un passo alla volta il pregiudizio che aveva su quelli che venivano considerati nemici della nazione, conosce e comprende, fino a diventare un eroe, una persona buona nel senso più autentico del termine.
La bontà, una delle cose più sottovalutate del mondo, perché la vera bontà è un atto veramente coraggioso e intelligente, che va oltre i pregiudizi, la stupidità e il rancore.
Non sottovalutiamo chi è buono. Perché ha compiuto una scelta autentica e ponderata, molto di più di chi sceglie il male. E questo film “ Le vite degli altri ” ne è la prova.