L’ombra di Lyamnay di Annarita Faggioni è una sorta di matrioska, che, lentamente, si apre, svelando poco alla volta i suoi personaggi, le loro emozioni e il mondo che li circonda.
Come il protagonista, il misterioso climatologo John Reckon, ci ritroviamo catapultati in un futuro non troppo lontano, a Skylhope, città prototipo, ideata proprio dall’uomo, per salvare l’umanità dal clima ormai avvelenato e radioattivo.
John non riesce proprio a capire come mai si ritrovi lì e cosa abbia portato a rendere così tetra e rigida la società.
Non pensate, tuttavia, di ritrovarvi di fronte ad una sorta di rifacimento di 1984 di Orwell, perché la realtà è molto più complessa e sfaccettata e l’autrice, ce la svela lentamente, permettendoci di entrare in questo mondo e di toccarlo quasi con mano.
E’ come essere accompagnati da una persona cara in un mondo fatato e misterioso.
E a questi misteri si aggiunge la complessa lingua di Skylhope, intrigante invenzione dell’autrice, che mostra un enorme studio sulle lingue e la loro evoluzione.
So che alcuni hanno criticato questa scelta, io, invece, trovo che un autore si debba sentire libero di creare qualsiasi cosa atta a rendere più reale e verosimile il proprio mondo.
Nel leggere il libro, più ad Orwell, pensavo principalmente ad un cupo film degli anni 70, La Fuga di Logan, dove le persone vivevano sottoterra proprio a causa di devastanti cambiamenti climatici.
Mai come ora questa tematica è molto attuale. L’inquinamento sempre più elevato sta portando dei devastanti effetti sull’ecosistema.
In L’Ombra di Lyamnay noi possiamo intravedere cosa accadrebbe alla Terra se si continuasse nella direzione sbagliata.
Oggi, come ieri, la fantascienza permette di fare critica sociale, da una prospettiva diversa e più radicale, tuttavia non è solo questo il punto focale di questo libro.
Ciò che mi ha affascinato è il modo in cui viene esplorata la mente umana, il suo continuo evolversi in direzioni che, ancora adesso, riteniamo impossibili e fantastiche.
Nel mondo di Skylhope vi sono persone come lo stesso John, in grado di sviluppare un’intelligenza superiore, di leggere nella mente degli altri e non solo.
Sarà mai possibile tutto questo?
Chissà.
Secondo gli scienziati vi è una parte oscura della nostra mente che non sono ancora stati in grado di esplorare, inoltre noi stessi non usiamo mai la totalità delle nostre capacità intellettive.
Un’altra tematica intrigante è sempre legata ai cambiamenti climatici in atto o meglio alla città prototipo, creata per salvaguardare la specie umana in pericolo.
Saremo mai in grado di vivere in un mondo devastato? Probabilmente sì, così come la natura sarebbe in grado di sopravviverci.
I personaggi vivono e si muovono in questo mondo oscuro, controllato da non si sa bene chi e John, con il tempo, si renderà conto che solo scoprendo chi ne muove le fila, potrà tornare a casa.
Eppure quel mondo lo affascina, anche se lo spaventa.
Chi è la misteriosa Lyamnay, creatura solitaria, infelice e con alcune peculiarità simile alle sue?
Senza svelarvi troppo vi dico che ho amato molto Lyamnay. Essa rappresenta la dolcezza e la generosità oltre il dolore e la rabbia. All’inizio fa paura, ma solo se ci si lascia ingannare dalle apparenze.
E in generale ho amato tutti i personaggi, Reckon compreso e i suoi nemici.
Forse l’unico personaggio che mi ha fatto ribrezzo (e credo fosse una cosa voluta dall’autrice) è una donna, che pare essersi adeguata fin troppo bene alle disumane e rigide regole della città, disumanizzandosi a sua volta.
E pure qui debbo dire che è molto attuale.
Le regole troppo rigide possono rendere disumane le persone, ma sono loro a scegliere di diventare così.
Non posso che consigliarvi questo affascinante viaggio nella nostra mente e nel nostro futuro. Non solo a chi ama la fantascienza, ma a chi ama le belle storie.