LA NUOVA PASSIONE DI FACEBOOK… MerCANtini e MerGATTini
Quando qualche mese fa una corista del mio stesso coro, come me gattofila convinta, mi ha segnalato l’esistenza di “un mercatino via internet per i mici” , non immaginavo di scoprire un mondo. L’e-commerce è una grossa opportunità per tutti, ma fino ad allora non mi ero mai occupata di vendite benefiche di questo taglio, né ne conoscevo l’esistenza.
Ormai Facebook trabocca di eventi, una fetta dei quali sono pagine di vendite tra privati, all’insegna del “Cerco Offro Regalo…” e simili. Una piazza virtuale dove fare anche discreti affari rimediando quel che ci serve o sbolognando quel che non serve più. Penso non sia una novità.
Un settore particolare sono i mercatini stile “fashion victim”, che vanno sotto titoli come “Il Guardaroba di…”: può essere una sola persona oppure un gruppo di amiche virtuali a mettere in vendita i propri capi eleganti e firmati, spesso nuovi di pacca (con cartellino a provarlo), a prezzi a volte più che dimezzati rispetto al negozio ma comunque a due cifre o tre.
Ci sono anche mercatini più economici con abiti e oggetti più di uso comune, si chiameranno “Fuori tutto” o “Piccoli prezzi” o slogan similari.
Ma il vero fenomeno ai miei occhi sono i mercatini benefici “pro pelosi”. Ho l’impressione che si stiano moltiplicando a ritmo esponenziale, almeno a giudicare da quelli a cui mi trovo iscritta. Sono vendite gestite da enti o da privati, il cui ricavato è destinato a cani e gatti (ma anche altri animali) tramite associazioni e strutture di accoglienza (canili, rifugi…) o anche tramite semplici cittadini.
La forma assunta su facebook è quella del Gruppo (aperto o chiuso) e le modalità di acquisizione e messa in vendita degli oggetti sono varie.
C’è il classico mercato dell’associazione che gestisce il canile o gattile, con oggettistica nuova realizzata su commissione (e prezzi adeguati) oppure con pezzi nuovi o seminuovi regalati dai simpatizzanti.
C’è l’asta di oggetti donati da privati e gestita da uno o più amministratori, a favore di associazioni animaliste oppure di progetti specifici.
E c’è la miriade di mercatini lanciati da singoli o da piccoli (inizialmente) gruppi di amici per sostenere associazioni o strutture o eventi o singole “gattare”… Per una classificazione esauriente occorrerebbe tracciare una griglia con caselle da barrare.
Il minimo comun denominatore è lo scopo, richiamato dal nome della pagina: avremo MerCANtini, MerGATTini, MerCAToni e così via, oppure il nome generico (asta o mercato) con la specificazione “pro pelosi”, “a quattro zampe”, “per il progetto X” eccetera.
Esistono le aste “pure”, i mercati “puri”, e gli ibridi, cioè i mercatini dove di tanto in tanto qualche pezzo speciale viene messo all’asta; in genere è un’asta-lampo, della durata di 24 ore o poco più.
Su alcune pagine soltanto l’amministratore (o gli amministratori) possono pubblicare post di vendita, proponendo oggetti regalati al loro gruppo (o associazione costituita).
Su altre, direi la maggioranza di quelle che conosco, chiunque sia membro del gruppo può proporre propri oggetti, purché il ricavato sia destinato “ai pelosetti”; se il pezzo viene acquistato, l’offerente lo consegna a uno dei punti di raccolta, e da lì viene eventualmente trasferito a un altro recapito stabilito per il ritiro, dove l’acquirente passa a prendere il pacchetto e a lasciare il corrispettivo. Il post di vendita può essere creato direttamente dall’offerente, oppure dall’amministratore che specifica “pubblico a nome di…”, usando ovviamente una foto dell’oggetto inviata da chi ne è in possesso.
Solitamente i prezzi di questi mercatini sono stracciatissimi, in base al principio che è meglio vendere a poco che non vendere affatto, perché ogni euro è importante: un euro significa il pasto giornaliero per una bestiola abbandonata, dieci possono bastare per un medicinale, trenta per la vaccinazione, cinquanta per salvare una vita (è il riscatto di un gattino lattante dalle perreras spagnole… ma questo è un altro più grave discorso).
I membri del gruppo di vendita fanno opera di bene dando del proprio, e fanno anche piccoli affari acquistando cosine belle o utili a poco prezzo. Si finisce per spendere al mercatino A molto più di quello che magari guadagniamo col nostro mercatino B (e allora quella somma spesa su A non potevamo invece destinarla direttamente al fine benefico di B, senza tanti giri e perdite di tempo?) , ma il tutto va in beneficienza e tutti sono contenti. Ricordo che qualcuno di un mercatino (una donna senz’altro) una volta scrisse ironicamente di aver trovato il modo per soddisfare la mania dello shopping senza sensi di colpa: ciò grazie al prezzo irrisorio e soprattutto al fine benefico.
Su queste vendite si trova di tutto: dalla scarpa da trekking pagata cento euro e rivenduta a dieci, al servizio da caffè rimasto con 4 piatti e 5 tazze e per questo offerto a “1 euro TUTTO”; dai peluches di marca a due-tre euro l’uno fino alla maglietta firmata (stesso prezzo) e al televisore usato (qui magari arriviamo a 5 euro); dalla collezione di bicchierini scompagnati ma colorati fino alla coperta di pizzo della nonna.
I vantaggi? Si raccolgono delle belle somme per il mantenimento e la cura degli animali, e qui non ci piove. Poi si possono trovare cose utili a prezzi bassi, e si impara a liberarsi del superfluo: ma questa è un’arma a doppio taglio. E cerco di spiegarmi.
Se le mie cose che m’ingombrano la cantina possono servire ad altri, mi sento incentivato a cederle, mentre magari sarei restio a buttarle nel cassonetto; diventa quasi inebriante poi riuscire ad accontentare eventuali richieste, scovando nella credenza l’oggetto introvabile tanto desiderato da qualcuno. A volte è così semplice far felice un’altra persona. L’obiettivo di raccogliere una certa somma, ad esempio per un’adozione a distanza oppure un’operazione chirurgica di un animale bisognoso, può indurci perfino a “liberarci” di cose che per noi avevano un significato, portavano un ricordo, perché appartenute ai nonni o donate da un amico che non c’è più oppure simboliche di un periodo particolare della nostra vita… ma destinate a rimanere inutilizzate sul fondo di una scatola: rinunciarvi per uno scopo è liberatorio.
D’altro canto nel gruppo ci sono altre persone che fanno lo stesso: troveremo per pochi euro oggetti di cui magari avremmo fatto tranquillamente a meno dovendoli acquistare a prezzo pieno… per cui un rischio è ri-riempirsi di cose dopo essersene liberati. Specialmente se si avvia la serie di acquisti a soggetto “pet”: il portachiavi con gattino (o col cane), la penna con gatto, il posacenere con gatto, la teiera con gatto, la maglietta con gatto…
Un altro rischio è che si inneschi il meccanismo della “caccia al tesoro” o “caccia all’affare”: può diventare una mania consultare di continuo i vari siti di vendita in attesa di qualcosa che ci piaccia (e magari si resta male se per due giorni di seguito non si acquista nulla…). Si possono consumare ore così, sottraendo tempo ed energie al lavoro o ai nostri pelosetti di casa, che magari mendicano una carezza mentre noi siamo assorti nell’asta a favore dei mici spagnoli o siculi o del gattile dietro l’angolo.
Avevo visto in un telefilm americano le massaie assatanate per accaparrarsi i punti e i premi dell’ultima raccolta del supermarket, le ultimissime offerte e i buoni sconto dei vari punti vendita (assatanate proprio al punto di uccidere…), mi era parso inverosimile… ma devo rivedere il giudizio alla luce dei piccoli drammi che qualche volta avvengono per aggiudicare una zuccheriera o un bambolotto (senza arrivare al sangue, beninteso!!! Mi perdonino gli amici mercantinari). E alla luce della frequenza con cui consulto io quelle pagine.
Per fortuna c’è chi come mia sorella acquista con moderazione, oculatezza e filosofia, soltanto per aiutare col suo contributo; le sue “ordinazioni commerciali” sono di questo tenore: “Se non le vuole nessuno, tienimi qualche decorazione per l’albero di Natale, qualsiasi cosa da appendere, tanto è grande” oppure “Tienimi qualcosa della bigiotteria che hai postato oggi, quello che non viene richiesto da altri, però un pezzo solo, due sarebbe esagerato”. Lei è la mia buona coscienza, da sempre.
Ma tornando alla febbre da mercatino… se mai farete l’errore di aprire un gruppo di vendita vostro o di diventare amministratore, sappiate che diventerà un lavoro vero e proprio: scattare e scaricare le foto degli oggetti, stabilire descrizione e prezzo, postare, assegnare il venduto, recuperare effettivamente l’oggetto e poi incartarlo con scritti prezzo e destinatario (ede eventuale tramite… l’amico dell’amico dell’amico…), provvedere alla consegna a mano o tramite spedizione… Tutto questo prende moltissimo tempo. E la cosa peggiore è che appassiona: perché si vede aumentare il gruzzoletto, perché sembra di aver “guadagnato la giornata”, perché si vede l’acquirente contento, perché si vede la cantina svuotarsi… per poi riempirsi di nuovo di lì a poco quando l’acquirente contento si presenta con borsate e scatoloni di abiti e giocattoli per contribuire alla buona causa. Magari sembra brutto lasciare una richiesta inevasa, e allora ci si butta in cantina alla ricerca del fantomatico oggetto; magari sembra brutto lasciare passare una giornata senza neanche un post, e allora ci si butta sulla fotocamera per riprendere pregi e difetti dell’ultima donazione; magari sembra brutto tenere in giacenza a lungo gli oggetti donati senza dare al donatore la soddisfazione di vederli postati e acquistati, e allora ci si butta a dividerli per genere o per target…
Non sto dicendo che sia brutto o sbagliato: è un’avventura, coi suoi pro e i suoi contro. Se poi è un’avventura condivisa, come mi capita con un’amica milanese che sta svuotando casa causa trasloco, diventa perfino esilarante. La sera non esistono più neanche i telefilm preferiti, le foto si susseguono su Messenger a tamburo battente, rapidità non assecondata dal mio modem d’annata nello scaricarle e ri-postarle nel mercatino; poi nel contempo che io posto, si inseriscono i commenti, le domande, le prenotazioni, qualche volta le proteste… Quando digito ASSEGNATO l’altra fanciulla su Messenger esulta; mentre sono immersa in una descrizione e mi perdo una diatriba in corso ecco che l’amica milanese mi segnala in toni entusiastici che l’oggetto è addirittura conteso (“Meglio che andare al cinema!” è il suo urlo virtuale); a tratti a inserirsi sono discorsi personali, confidenze tra lei e me sulla provenienza e il significato di quel pezzo caro al suo cuore ma da cui è disposta a separarsi… e allora diventa un approfondire un’amicizia nata quasi per caso, una fiducia che è stata istintiva tra perfetti estranei, una condivisione di intenti che solo i militanti delle cause perse possono capire.
Questo voleva essere un articolo asettico su questa nicchia di mercato e sui meccanismi psicologici che vi si innescano: non è stato così, è diventato il racconto di un’esperienza che per me dura da tre mesi, e che se da una parte mi succhia forze e tempo come una sanguisuga, dall’altra mi dona insperate ricchezze di umanità.