La saga si è conclusa, almeno per il momento. Nella Galassia Lontana Lontana il bene ha trionfato sul male: il jedi, il Prescelto, Anakin Skywalker è tornato ed il Lato Oscuro è stato finalmente battuto.
La rubrica Star Wars Reloaded prosegue e non può certo mancare l’approfondimento di Episodio VI, approfondimento a cui, tuttavia, intendo dare un taglio del tutto particolare.
Sminuito da tanti, non compreso da molti, non ci è stato dato di vedere all’opera tutto il suo pieno potenziale e questo ha creato – a mio avviso – il grande fraintendimento del suo personaggio ed ancor oggi è possibile leggere sui social network commenti assurdi circa il suo apporto alla saga di Star Wars.
Luke Skywalker, o in alternativa, l’eroe incompreso.
L’abbiamo conosciuto ragazzino che nulla sapeva del mondo, forse un po’ sempliciotto ma di sicuro gran sognatore. Abbiamo visto il suo percorso, il suo addestramento, la reazione alla rivelazione che avrebbe sconvolto anche il più sano di mente. Mark Hamill ci regala, fin dalle prime inquadrature di Episodio VI, tutto il suo lavoro personale sul cammino interiore di Luke: nel messaggio dei due droidi, prima, e poi alla definitiva entrata in scena alla corte di Jabba, sono sufficienti il solo sguardo e la gestualità pacata per rivelare un nuovo giovane Skywalker.
Se mettiamo a confronto la sua espressione disperata (e ci mancherebbe!) durante la rocambolesca fuga da Bespin con queste prime battute dinanzi a Jabba sembra quasi un’altra persona. C’è la pacatezza di chi sa cosa sta facendo, ma soprattutto di chi ha fatto pace con se stesso e con la realtà delle cose.
Se poi lo spettatore ancora non fosse convinto, arriva il solito colpo di genio di George Lucas, nella lotta tra Luke ed il Rancor. Nella galassia lontana nessun nome è scelto a caso, nemmeno quello che sembra il più marginale e per il Rancor non è difficile intuire il vero significato a monte. È ben più che un essere mostruoso, è un chiaro riferimento al drago simbolo del male dei cicli medievali e di quello wagneriano, è l’elemento visibile di una lotta interiore che il ragazzo ha già vinto. Non è un caso che Luke riesca ad abbatterlo senza l’arma che contraddistingue i jedi, ma con la sua sola intelligenza e forza di volontà: tenete a mente questo particolare, perché ritornerà alla fine.
La storia prosegue, altre rivelazioni avvengono, fino al momento in cui si giunge alla Luna Boscosa di Endor. Nel frattempo il pubblico attento non avrà potuto non notare qualcosa di importante, grazie nuovamente alla bravura di Mark Hamill: il velo di sottile malinconia che accompagna ogni suo sguardo. Luke ha fatto pace con se stesso, ma non è ancora sufficiente. C’è un altro compito da affrontare, il più importante, lo si percepisce sempre più vividamente ogni istante che passa e che conduce alla sala del trono della seconda Morte Nera. Seppur non palese, l’inquietudine è palpabile ed è un tratto umanissimo che mi fa amare Luke quanto suo padre: non è l’eroe tutto d’un pezzo, senza macchia e senza paura, che compie ogni gesto quasi senza battere ciglio. Il ragazzo riflette, pondera, possiede timori e speranze, ma quando è necessario sa conquistare la serenità di chi è cosciente di fare la cosa giusta.
Luke Skywalker è l’eroe che sa fare di ogni azione un percorso per crescere.
E qui so già che alcuni lettori storceranno il naso. Che mai avrà fatto di così incredibile?, dirà qualcuno. Se messo a confronto con la Nuova Trilogia, Luke non sembra possedere la fantastica agilità nel combattimento di un giovane Obi-Wan Kenobi, ad esempio, ma ricordiamoci che questo è pur sempre un film e soprattutto ricordiamoci l’epoca in cui fu girata la Vecchia Trilogia. Sembra, poi, che il ragazzo non sappia nemmeno combattere contro l’Imperatore come hanno fatto Yoda e Windu, visto che non appena lo respinge viene subito messo a terra dai Fulmini di Forza. Poco importa se il medesimo George Lucas ha più volte ribadito che il suo potenziale è identico a quello del padre, ci saranno sempre persone che si fermeranno all’apparenza e non riusciranno a vedere oltre.
Il vero eroismo di Luke non si palesa con la spada laser, né con l’abilità negli scontri o con mirabolanti manifestazioni nell’uso della Forza. Sembra strano, ma questo è il messaggio che Lucas ha voluto lasciare nell’episodio finale della sua saga. Lasciamo perdere le straordinarie armi di un incredibile cavalierato, lasciamo perdere tutta la particolarità di quel mondo lontano.
La vera forza di Luke sta nell’accettazione tutta umana di essere un figlio, vibra potente nel perdono dato a suo padre prima ancora che lui glielo chieda.
Non ditemi che è poca cosa, perché non lo è. Pochi, pochissimi sarebbero in grado di essere come Luke Skywalker e fare ragionamenti a posteriori è fin troppo facile.
“Avete fallito, altezza. Sono uno jedi, come mio padre prima di me!”
Basta questa sola frase per abbattere l’Imperatore. Il redento Anakin lo farà materialmente, gettandolo giù dal condotto, ma qui Luke lo asfalta senza pietà, senza se e senza ma. Butta la propria spada laser, quasi fosse un oggetto inutile, si spoglia di ogni possibile difesa contro il potente Sith, mettendo solamente tutto se stesso come ultimo baluardo di luce per un Darth Vader ormai non più marionetta di Palpatine.
È lui quella tentazione del Bene a cui Anakin non riesce più a dire di no.
Attirato dal Bene e dal Male, di Darth Vader non è semplice intuire il dilemma interiore. Luke serve anche a questo, il pubblico ha bisogno di comprendere che c’è una durissima lotta sotto l’armatura possente e quella nera maschera che, momento dopo momento, sembra sempre più triste che crudele. Il ragazzo diviene così la voce del padre, è l’esternazione di quello che lui non riesce a confessare nemmeno a se stesso, non ancora.
Il nuovo incontro tra padre e figlio, prima di decollare per la Morte Nera, sembra non avere nulla della drammaticità dell’episodio precedente, ma anche qui serve “guardare” e non solo “vedere”. L’entrata in scena di Luke è caratterizzata dalla pacata tranquillità dell’eroe che ha ben chiara la strada da intraprendere; questo ci spiazza, ma soprattutto spiazza Darth Vader, a cui il ragazzo addirittura osa dare le spalle, segno evidente che non ha alcun timore di lui.
Si aspettava semplice pietà, riceve invece qualcosa di completamente inatteso: il perdono del figlio. Un perdono non chiesto, apparentemente non voluto, ma che in realtà è solo la prima delle tante picconate date alle catene del Lato Oscuro.
È come fissare il sole dopo essere stati a lungo al buio. Fa male. Il primi istinto è quello di cercare di opporsi e serve gradualità per potersi abituare al nuovo stato. Lucas lo sa, per questo ci regala una redenzione che, passo dopo passo, diventa sempre più un gioiello, tra l’altro incredibilmente simile alla notte dell’Innominato di manzoniana memoria.
“Allora mio padre è morto davvero.”
Per l’Innominato erano le parole di Lucia a dare la definitiva sferzata ad un’esistenza già stanca di proseguire lungo un percorso di soprusi. Per Luke (eh sì, la somiglianza di nomi non è assolutamente casuale, parola del medesimo zio George) è questa frase che fa la differenza. Non c’è rancore in queste parole, non c’è odio né alcun sentimento di attinenza con il Lato Oscuro. C’è solo l’umanissimo desiderio di un figlio ad avere accanto il proprio padre e che fa di tutto per poterlo aiutare ad uscire dall’oscurità in cui s’è cacciato per vent’anni.
Da quanto tempo Vader non percepiva una voce che gli fosse veramente amica e lo accettasse per quello che era? Da quanto tempo qualcuno non esprimeva il proprio doloroso rammarico nel non poterlo avere accanto, senza secondi fini, senza interessi puramente clientelari? Luke viene condotto via, mentre queste domande affollano la mente del Signore Oscuro che rimane solo con i propri pensieri. Non possiamo vedere la sua espressione, ma la posa di Vader e quella camminata lenta ci dicono tutto l’uragano di emozioni dentro di lui che combattono per avere il sopravvento l’una sull’altra. La lotta è ancora tutta interiore, non la si vede ma la si percepisce a pelle.
Nella sala del trono, poi, dinanzi all’Imperatore, la tentazione del Bene non demorde e prosegue lenta ma inesorabile. Palpatine sembra reggere i fili dei suoi burattini, non si rende conto di essere totalmente fuori dai giochi.
Come? Dite che non vi sembra?
Ok, riguardatevi tutta la sequenza della sala del trono. Tutta. Con occhi ma soprattutto con orecchie bene aperte. Ed ora contate quante volte Luke e Vader si chiamano a vicenda, quante volte risuonano in quella sala le parole “padre” e “figlio”. Non ne hanno bisogno, sono già l’uno davanti all’altro, che motivo c’è di chiamarsi reciprocamente?
Si cercano senza saperlo, si attraggono e si respingono, lottano più a parole che a colpi di spada laser e l’Imperatore osserva compiaciuto, senza rendersi conto che attimo dopo attimo il legame tra i due gli sarà fatale. Pensa di avere in pugno le loro vite, sminuisce l’amore che li lega, non lo comprende perché è al di fuori della sua portata. Quando Luke sembra finalmente cedere all’ira, lui gongola, ma anche questo è necessario all’eroe: avvicinarsi talmente tanto all’orlo del baratro da provare un tale orrore di esso da non volerlo vedere mai più.
“… come mio padre prima di me!”
Anakin non ha mai smesso di essere tale. Il jedi è sempre stato lì, nascosto, ma mai morto davvero e Luke lo proclama con orgoglio, prendendo una decisione tanto avventata quanto stupendamente eroica. Mettere la sua vita nelle mani di un uomo di cui non conosce nemmeno l’aspetto.
La tentazione del Bene non solo ora lo invita a palesarsi, ma investe Anakin di un compito non da poco, salvare suo figlio. Chi oggi continua a sminuire Luke non comprende che ci vuole un estremo coraggio per mettersi nelle mani di qualcun altro, soprattutto se questo qualcuno ancora non ci ha dato segni di essere affidabile. Il ragazzo sa bene che c’è in gioco la sua vita, mica bruscolini, ed anche il destino di tutta la galassia. Sembra debolezza, la sua, invece è forza e delle più convincenti.
Ed Anakin accetta.
Accetta il perdono, accetta di essere se stesso, grazie all’insegnamento del figlio, accetta i propri errori ed è pronto a porvi rimedio. Coraggio per coraggio, il padre non si dimostra da meno del giovane Skywalker e riesce a prendere quella mano tesa. È un atto altrettanto epico, il suo, ben più dell’uccisione dell’Imperatore.
Ci vuole molto coraggio nel perdonare, ma altrettanto ne serve nel saper accettare il perdono.
(Se solo fosse finita così…)
Pur avendo al suo interno una miriade di riferimenti, qui è al cristianesimo più puro che si richiama George Lucas e non lo fa certo velatamente. Anche nella scena finale, per me da lucciconi agli occhi pure ora che scrivo, tra Luke ed un Anakin finalmente senza maschera.
Sebastian Shaw ha solo poche inquadrature a disposizione, ma tanto gli è bastato per rimanere nell’indimenticabile.
“Devo salvarti.”
“Lo hai già fatto.”
La maschera, simbolo della disumanizzazione di Vader, non ha più motivo di essere, ogni vincolo con il Lato Oscuro è stato abbattuto. La salvezza per Anakin è arrivata, ma, diversamente da come vorremmo e come vorrebbe Luke, non è letterale, bensì trasposta su un altro piano del trascendente. Non in senso strettamente fisico ma spirituale, si potrebbe dire, e se non è un richiamo al martirio cristiano questo…
La tentazione del Bene ha compiuto il proprio dovere, fino in fondo. Luke accetta il dolore per la morte di Anakin e trova anche la forza di superarlo, di lasciarlo andare dinanzi alle fiamme di una pira ardente. Rivedremo ancora il suo spirito nella nuova trilogia che ci aspetta a dicembre? Io lo spero proprio, lo spero tanto, forse perché in questo rapporto tra un padre ed un figlio io ci vedo molta più epicità e grandezza di tutta la mitologia jedi che Lucas racconta. Ed anche perché c’è un’importantissima questione in sospeso che non può rimanere tale: Leia. C’è un’intera vita da recuperare con una figlia troppe volte incontrata in occasioni del tutto dolorose e spiacevoli, voglio credere che lo spirito di Anakin si sia avvicinato anche a lei per potersi finalmente riconciliare.
Il ciclo di Anakin è terminato, ma la sua storia continua ancora.
La Nuova Trilogia ci attende, ed aspetta solo di essere analizzata ed approfondita come abbiamo fatto fino ad ora. La Galassia Lontana Lontana non ha ancora finito di regalarci sorprese ed emozioni.
*Nota personale: il titolo di questo articolo vuole essere un omaggio allo splendido lavoro di Davide Canavero, pubblicato alcuni anni fa su Star Wars Athenaeum.