Joel Schumacher sfodera un invidiabile asso dalla manica e lo dirige nel migliore dei modi nell’opera drammatica “Un giorno di ordinaria follia”, un lungometraggio, pregno di dialoghi ben strutturati, che quest’anno compie venticinque anni.
Monumentale la prova attoriale di Michael Douglas, il quale veste i panni di William “Bill” Forester, ex impiegato di una ditta che fabbrica missili per il ministero della difesa. In seguito al licenziamento, al divorzio e ad un’ordinanza che gli vieta di avvicinarsi alla figlia, l’uomo giunge a un punto di non ritorno. Perde i contatti col mondo. Ci si connette, così, al concetto di devianza, di violazione del vivere sociale in contrapposizione col codice etico e sociale “ragionevolmente” dominante.
Imbottigliato nel traffico, Bill prende la sua valigetta e decide di lasciare l’auto, scatenando la furia degli altri automobilisti. Dopo aver aggredito il gestore di un minimarket riesce ad avere la meglio su due gangster nel quartiere ispanico: un palese riferimento ai conflitti territoriali e alle conseguenti apprensioni socio-razziali realmente esistite a Los Angeles in quel periodo. La pellicola si presta a ragguardevoli spunti di riflessione concernenti soprattutto la tematica del razzismo nelle sue sfaccettature, che coinvolgono l’orientamento sessuale e politico, oltre agli aspetti socio territoriali precedentemente accennati. Dopo aver minacciato gli inservienti di un fast food, Bill viene a contatto con un negoziante fanatico neonazista, insofferente nei confronti degli omosessuali e amareggiato poiché D-Fens (soprannome del protagonista derivante dalla sua targa personalizzata, che indica un impiegato alla difesa) non nutre il suo medesimo odio nei confronti del genere umano. Un barlume di umanità, termine azzardato dato il soggetto in causa, che sembra riaffiorare nella soluzione che Bill adotta nell’adrenalinico scontro finale col sergente Martin Prendergast (Robert Duvall).
Schumacher scava nei meandri della psiche umana con piglio risoluto, coadiuvato da un interprete, che si conferma degno duellante di Duvall, ma soprattutto degno erede di Kirk Douglas, una delle leggende viventi della storia del cinema.
“Ho superato il punto di non ritorno, lo sai qual è? È il punto in cui è più conveniente proseguire, che tornare indietro. Ti ricordi quegli astronauti che si ritrovarono nei guai? Che andavano sulla luna? Qualcosa andò storto, non so, qualcuno aveva sicuramente sbagliato e bisognava riportarli sulla terra. Ma loro avevano superato il punto di non ritorno, cosi dovettero farsi tutto il giro intorno alla Luna e persero ogni contatto con la Terra per non so quante ore… tutti stavano col fiato sospeso, si aspettavano di veder sbucare dall’altra faccia della Luna un carico di morti. Ora ci sono io, sull’altra faccia della luna, ho perduto i contatti con il mondo e tutti dovranno stare con il fiato sospeso aspettando che sbuchi!” (William Forester)