Abbiamo finito di vedere la prima stagione di Westworld poco prima di Natale e siamo ancora qui a rimuginarci sopra perché non è una serie facile.
Probabilmente Jonathan Nolan, Lisa Joy e JJ Abrams hanno dato fondo alle loro riserve personali di qualche nuova droga per sfornarla.
Battute a parte, prima di continuare, vi avvisiamo che da qui in avanti saranno presenti pesanti SPOILER e neanche in maniera ordinata, così nessuno può rompere.
Leggete a vostro rischio e pericolo.
La trama è abbastanza semplice: Robert Ford (interpretato da un sontuoso Sir Anthony Hopkins, ma tutto il cast era in stato di grazia) aveva creato in un passato imprecisato il parco di Westworld, dove i robot, dalle fattezze umane, vengono usati dagli esseri umani per divertirsi.
Questi robot, a cui è stata data la facoltà di emozionarsi, diventano man mano senzienti, anche per opera del co-creatore del parco, Arnold (Jeffrey Wright pure lui bravo).
Tra i robot ribelli spiccano Dolores (spettacolare Evan Rachel Wood) e Maeve (altrettanto fantastica Thandie Newton), le cui personalità verranno forgiate da eventi diversi.
La prima dall’incontro con il giovane William (Jimmy Simpsons, anche lui bravissimo, già visto in Person of Interest), arrivato nel parco, quasi contro la sua volontà spinto dal futuro cognato Logan a scoprire se stesso e infatti William scoprirà se stesso, anche attraverso Dolores, ma tirerà fuori un lato che nessuno di noi avrebbe mai immaginato.
Prima di parlare di ciò, tuttavia,crediamo sia giusto spiegare il climax su cui si è mossa tutta la serie o meglio la prima stagione, altrimenti rischiamo di dire qualche stupidaggine.
Dopotutto, a tutt’ora, non possiamo classificare William come buono o cattivo, nonostante il colpo di scena del finale di stagione: anche Robert è rimasto parecchio in bilico prima di classificarsi forse, come buono. Sottolineiamo forse.
I robot diventano sempre più senzienti e consapevoli di essere dei giocattoli nelle mani di esseri umani, il cui mondo, ci è stato spiegato in tutte le salse, è ormai una landa desolata.
Insomma tutti i nostri peggiori incubi si sono avverati.
Gli indizi in fondo c’erano tutti, prima della rivelazione palese. I dirigenti della Delos, l’azienda che gestisce il parco Westworld vengono chiamati “overlords” sia da Bernard(il clone robot di Arnold ndr) sia da Theresa che non può non far venire in mente la famosa opera di Clarke Childhood’s end: gli overlords, i Superni nella versione italiana, erano appunto gli alieni venuti a portare prosperità al mondo con le conseguenze che tutti gli appassionati di fantascienza ben conoscono. A proposito di citazioni: Childhood’s end non è la sola. Ci sono vari rimandi sia alla letteratura sia alla cinematografia di genere.
Da Star Wars a Blade Runner, il dialogo tra Robert Ford e il padre di Dolores, Peter Abernathy non può non ricordare quello tra Roy Batty e Tyrell; citazioni anche al regista Kubrick. E come se non bastasse: ogni episodio della stagione, tranne l’ultimo, ha un rimando musicale. Dai Radiohead, pallino di Nolan che ammette candidamente di essere un fan, ai Rolling Stones, ai Nine Inch Nails, ai Soundgarden passando per la musica classica e la splendida Reverie di Debussy. E’ chiaro che ogni brano, ogni scelta ha avuto ilcompito di sottolineare la narrazione.
Dolores smette lentamente di essere la ragazza da salvare e diventa “viva” per usare le parole di William, diventa indipendente e pensa di aver trovato qualcuno che l’amava per quello che era.
Ecco sul cammino di Dolores, alla luce del colpo di scena finale, dobbiamo dire di avere alcune piccole perplessità.
Perché finché non era chiaro che molte delle scene di lei con ilgiovane William fossero il passato e invece dal pilot partiva il presente, potevano dire che il suo cammino fosse coerente, ma così, dobbiamo dire di no. Perché, signori miei, ci dovete spiegare come e perché sia regredita per poi tornare a ricordare un passato remotissimo che la spinge a rinascere. Qual è stata la molla della sua regressione e della sua rinascita?
E non pensiamo che possa essere la decisione di Arnold di usarla per uccidersi e fare strage degli altri robot. Suonerebbe un filo forzato. Anche perché Dolores era lucidissima durante l’evento.
La spiegazione va bene per il suo “fidanzato” Teddy(James Mardsen, che migliora man mano che il suo personaggio progredisce), il quale, obiettivamente, ha dimostrato poco acume, quantomeno all’inizio, non per lei.
Forse l’unica spiegazione che riusciamo a trovare della regressione è che Ford abbia voluto cancellarle la memoria temporaneamente. Perché sapeva che sarebbe comunque riaffiorata in qualche modo.
Teddy ha, comunque, pure lui il suo cammino e inizia a capire molte cose. Forse non sarà mai un personaggio di spicco, ma almeno non siè rivelato essere il bambolotto che temevano fosse all’inizio.
Ha avuto diversi guizzi niente male che ci fanno ben sperare per il proseguo della serie.
Più coerente e lineare il percorso di Maeve, il cui ricordo della “figlia” morta, la porteranno a ribellarsi sempre di più, fino a imporre a due tecnici umani, di dare l’intelligenza necessaria per poter diventare libera.
E anche su di lei ci aspetta un colpo di scena, perché Maeve, ormai fuori dal parco, decide di tornare indietro per andare alla ricerca di questa figlia perduta, dimostrandosi dannatamente umana.
Del resto lei aveva già dimostrato quanto il lato emotivo fosse molto forte in lei assistendo alla lobotomizzazione della sua amica. Il suo addio è una delle scene più commoventi dell’intera stagione.
Veniamo a Robert. Egli sembra essere contrario a rendere senzienti i robot, tanto da farci sospettare che ci fosse lui dietro la morte di Arnold, d’altro canto è sempre stato contro il consiglio e il loro mododisumano di trattare i “residenti.”, arrivando a compiere degli omicidi per impedire che gli portassero via la sua storia.
E la sua storia era quella di farli ribellare infine.
Robert vuole distruggere i suoi simili come è stato scritto?
Non lo crediamo possibile.
Non ha mai detto niente del genere e il suo creare un clone del caro amico defunto fa capire non solo quanto tenesse a lui, ma quanto ancora ami il genere umano.
Il fatto che odi il consiglio non ci pare abbia a che fare con la sua opinione riguardo all’umanità.
Ford odia il consiglio semplicemente perché ha paura che possano pervertire la sua creazione. In fondo, pensiamoci bene: quali altri utilizzi possono derivare da robot come quelli mostrati in Westworld? Non tutti comprendono il fascino che ne deriva da poter esplorare una nuova vita senziente, come quella in divenire degli host di Westworld.
Abbiamo un esempio lampante di questo in Charlotte, donna mandata direttamente dalla Delos per screditare Ford e che tratta i robot alla stregua di macchine, buone solo per il sesso e poco altro. Nessun rispetto, nessun fascino per le loro probabili capacità di evolversi.
Molti ospiti trattano così i residenti, tra loro anche il misterioso pistolero (interpretato da un grandissimo Ed Harris, che in passato fu uno dei protagonisti di Truman Show e forse è stato scelto anche per questo, date le molte assonanze con la storia di Westworld), amico di vecchio data di Robert nonché socio della Delos. Tra i due vi è un certo rispetto, nonostante il pessimo comportamento del pistolero, che dichiara:
“Le tue storie hanno bisogno di un villain di peso e io sono quello che ci vuole.”
L’uomo arriva a fare del male, ripetutamente, a Dolores, con sadismo e compiacimento.
Anche se non sappiamo davvero cosa succeda.
E lo stesso fa con Teddy.
Tuttavia vi è altro che lo muove.
E’ alla ricerca del labirinto, ma Ford lo avverte.
Non fa per lui.
Cos’è il labirinto?
E’ un percorso interiore che porta i residenti a comprendere chi sono e quali siano le loro possibilità di scelta.
Non è per il pistolero questo percorso?
Forse no o forse sì.
Dal momento in cui ci viene svelato che egli non è altri che un invecchiato e disilluso William ci viene da pensare di no, ma quando l’uomo, alla fine, mostra di nuovo parte di quell’antica luce nello sguardo, nell’osservare i residenti in rivolta, forse per lui e per gli umani non è tutto perduto.
Commette un errore madornale chi divide i residenti in buoni e gli esseri umani in cattivi.
Le cose non sono mai così semplici nelle storie di Nolan e Abrams.
E il sacrificio finale di Ford per le sue creature ne è la prova.
Quando abbiamo iniziato la serie temevamo che le seppur alte aspettative che avevamo sulla serie venissero deluse. Non solo non è accaduto, ma siamo andati anche oltre. Westworld è una serie complessa, non di facile fruizione. Si parla di tematiche complicate come la coscienza umana e di come possa nascere. Viene persino citata la teoria della mente bicamerale, teoria enunciata dallo psicologo statunitense Julian Haynes nel suo libro “Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza”. Come tutte le belle storie che si rispettano, ha uno svolgimento lento e molto spesso sembra quasi che stia ripetendo concetti già espressi. In realtà non è così. La reiterazione di certi eventi è necessaria per dimostrare il loop in un cui si trovano i vari host ma è chiaro che questo sistema prima o poi salterà. E quando cominciano a vedersi le prime crepe… lì arriva il vero divertimento.
Come è nella tradizione di certo tipo di fantascienza è una critica abbastanza feroce della nostra società. Il piatto alla fine della stagione è ricco e Nolan e Lisa Joy hanno lasciato ancora diverse domande senza risposta. Come è giusto che sia.
A loro l’arduo compito di bissare una stagione di alto livello cercando di non sporcare quello che è stato costruito.
Recensione redatta da Simona Ingrassia e Silvia Azzaroli.
Quando parlo della prima stagione di Westworld premetto sempre che avevo aspettative altissime su questa serie, per via del cast e per via di Jonathan Nolan al timone più che per il materiale di origine o l’argomento, in quanto il film di Crichton è un classico ma è anche un prodotto abbastanza datato e sul tema androidi già hanno fatto molto bene in questi anni Real Humans (titolo in svedese: Äkta människor) e il remake inglese Humans. Le aspettative sono state pienamente rispettate, la prima stagione di Westworld è diventata la mia serie del 2016.
Motivare il mio giudizio è facile, per me sfiora la perfezione, sulla recitazione e sugli aspetti tecnici quasi non mi vorrei soffermare, mi sembra che siamo tutti concordi, persino chi ha espresso un giudizio complessivo non lusinghiero, giudicando la serie fredda o persino noiosa ha riconosciuto l’assoluta eccellenza del cast e che i soldi spesi nella realizzazione si vedano tutti.
Anche sottolineare la classe di Anthony Hopkins (interpreta il dr. Ford il creatore di Westworld insieme al defunto socio Arnold) pare inutile, la straordinaria bravura di Evan Rachel Wood (Dolores) è stata una sorpresa per me che non conoscevo questa attrice ma non è esattamente al suo primo ruolo, Thandie Newton (Maeve) per me rivaleggia con la collega più giovane per il ruolo di miglior interprete femminile dello show, ma come dimenticare che dopo i primi due episodi prima che Hopkins entrasse alla grande quello che aveva impressionato un po’ tutti noi era Louis Herthum nel ruolo di Peter Abernathy (il “papà” di Dolores)?
E fortuna che avevo detto che non volevo dilungarmi sugli attori …
Una delle critiche che ho letto alla serie è che purtroppo, bravi o no gli attori, non si può empatizzare coi protagonisti perché sono androidi che possono essere riparati qualsiasi cosa accada loro.
Premesso che anche se fosse vero, anche se davvero lo show comunicasse freddezza e davvero non fossi coinvolto emotivamente verso nessun personaggio, per me non sarebbe un problema perché non vivo di “feels” e il coinvolgimento intellettuale per me è molto più essenziale, in realtà io mi sono sentito coinvolto quasi subito, il dolore è un fatto del cervello mica del corpo, anzi direi che a rigor di logica persino le sofferenze degli androidi non ancora consapevoli non dovrebbero lasciarci indifferenti perché i loro avanzatissimi cervelli in quel momento le percepiscono come reale dolore, il fatto che poi vengano cancellate è completamente irrilevante, se poi prendiamo in esame Dolores o Maeve tra la loro sofferenza e quella umana non c’è proprio differenza.
Quello che ha fatto issare Westworld a mia serie preferita dell’anno non sono però le interpretazioni, quelle sono solo un tassello del puzzle, un’altra cosa che ho apprezzato è stato il seminare indizi e far nascere teorie e rispondere a quasi tutti i quesiti entro la fine della stagione, tanto che se ho una preoccupazione è: sarà la seconda stagione all’altezza? Come la imposteranno?
Fra le poche recensioni non favorevoli ne ho lette alcune che lamentavano: “ecco un altro Lost che semina misteri e domande e non risponderà mai”, scusate ma avete visto solo un cazzo di mezza stagione e poi avete scritto la recensione per tutta? No perché a fine stagione è perfettamente chiara la sequenza degli eventi, come e perché è morto Arnold, come gli androidi sono diventati coscienti, il ruolo giocato da Arnold e quello giocato da Ford, non c’è proprio niente di confuso e poco chiaro, se non ci arrivate la colpa non è degli autori, paradossalmente potrei dire che le spiegazioni nel meraviglioso finale di stagione diventano quasi didascaliche.
A differenza di quello che mi aspettavo la prima stagione di Westworld non è stata a proposito dell’intelligenza artificiale, la prima stagione di Westworld parla di noi. Quando la serie fu lanciata con slogan tipo “Westworld dove tutto è permesso” o recensioni che parlavano del “futuro del peccato”, pensai che erano fuorvianti, naturalmente avevo torto io. A mia discolpa non essendo cattolico (anzi non aderendo a nessuno credo religioso pur non essendo ateo convinto) la parola peccato mi crea sempre reazioni allergiche.
Il discorso finale di Ford è esplicito, gli uomini si dimostrano incapaci di cambiare, ricordate il cognato di William? Dice che Westworld è fantastica perché le persone lì trovano il loro vero se, come a dire che se noi abbiamo creato una società che non ammette violenze di vario genere andare in un posto dove non dobbiamo sottostare a certe limitazioni può in alcuni casi essere l’unico modo di trovare noi stessi, perché la società potrà cambiare le sue regole ma l’uomo non cambia. Invece gli androidi cambiano, trovo che questa sia la tesi più affascinante e se vogliamo provocatoria espressa da Westworld nella sua prima stagione, non che venga creata una intelligenza artificiale, ma che la vera consapevolezza degli androidi venga alla fine di un percorso evolutivo e che non gli venga conferita. Così come il dipinto di Michelangelo celerebbe la tesi che la scintilla dell’intelletto umano nasca dall’uomo stesso e non da Dio, ma non basta, l’intelligenza artificiale che nell’immaginario è sempre stata presentata come qualcosa di più statico, magari portentosa ma sempre uguale a se stessa, si differenzia da quella umana per la capacità di cambiare, caratteristica che secondo Ford (vedremo nel seguito della serie se è la visione degli autori e dove andranno a parare) manca agli esseri umani.
La parte finale dell’ultimo episodio è veramente un capolavoro, mi rendo conto che più che una recensione di Westworld ho fatto una recensione della parte finale del finale di stagione, ma lì c’è davvero tutto, sempre a quella mi riferivo quando ho scritto “perfino didascalica”, mentre Ford dice che le storie ci rivelano chi vogliamo essere veramente noi vediamo Maeve nel momento in cui decide di scendere dal treno che l’avrebbe portata via da Westworld, il fatto che la figlia fosse una storia che le avevano dato ora che ne è cosciente non è importante, quello che è importante è come lei si sente ancora ripensando alla “bambina” quella storia le rivela chi è lei, una che non la abbandonerà.
Ho rivisto il finale di quell’episodio tre volte, l’ho rifatto scrivendo queste mie considerazioni e l’impressione ne esce sempre più rafforzata, per quella che è la mia conoscenza che ovviamente non abbraccia tutto quello che è stato prodotto, gli ultimi 20-25 minuti del finale della prima stagione d Westworld sono il punto più alto della storia della serialità televisiva.
Recensione redatta da Roberto Fringie